Lettera di Scalfaro
24/11/2004 11:03


Il testo della lettera del Presidente Scalfaro con la quale ha accolto la richiesta di assumere la presidenza del Coordinamento nazionale di Salviamo la Costituzione.

Grazie, Cari amici, per l’onore grande che mi fate offrendomi la presidenza del coordinamento di tutte le forze politiche, sociali, di tutti i movimenti, di tutti i cittadini che si ribellano all’attuale capovolgimento della nostra Carta Costituzionale.

Dopo aver difeso, come mio dovere, la Costituzione durante il mio settennato, ho subito ripreso a girare l’Italia per rispondere ai tanti inviti, specie di giovani, per questa difesa che sento di dover compiere come impegno sacro anche per rispetto delle gloriose lotte e delle immani sofferenze che sono fondamento e vita di questa Carta preziosa.

Accolgo volentieri il vostro unanime invito, ben conoscendo le difficoltà che

abbiamo dinnanzi; ma la fede nella libertà e l’entusiasmo per difenderla nei

valori fondamentali della nostra Costituzione non vengono meno.

Con l’aiuto di Dio, metterò ogni impegno per continuare con voi questa pacifica, ma intransigente battaglia per la nostra Italia, per il nostro popolo.

Eccomi dunque al vostro fianco con tanto amore.

 

Oscar Luigi Scalfaro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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06/03/2005 12:11
25 Aprile di Piero Calamandrei
di  Ospite

06/03/2005 12:08
Un pensiero di Piero Calamandrei
di  Ospite

08/03/2005 18:07
Riforma della Costituzione prima delle elezioni
di  Anonymous User

21/03/2005 15:43
21 Marzo 2005 - il Senato voterà la nuova Costituzione il mercoledì santo, un articolodi Raniero La Valle
di  Ospite

06/03/2005 21:05
Il presupposto politico della Costituzione italiana: l'antifascismo. Un pensiero di Giuseppe Dossetti
di  Ospite

14/04/2005 19:02
Chi cambia la Costituzione per sconfiggere l'avversario
di  Ospite

06/03/2005 12:21
LA COSTITUZIONE ITALIANA/ INTERVENTO DI PIERO CALAMANDREI ALL'UMANITARIA, 1955
di  Ospite

 

25 Aprile di Piero Calamandrei
06/03/2005 12:11
di Ospite

NON RAMMARICATEVI

DAI VOSTRI CIMITERI DI MONTAGNA

SE GIU’ AL PIANO

NELL’ AULA DOVE FU GIURATA LA COSTITUZIONE

MURATA COL VOSTRO SANGUE

SONO TORNATI

DA REMOTE CALIGINI

I FANTASMI DELLA VERGOGNA

TROPPO PRESTO LI AVEVAMO DIMENTICATI

E’ BENE CHE SIANO ESPOSTI

IN VISTA SU QUESTO PALCO

PERCHE’ TUTTO IL POPOLO

RICONOSCA I LORO VOLTI

E SI RICORDI

CHE TUTTO QUESTO FU VERO

CHIEDERANNO LA PAROLA

AVREMO TANTO DA IMPARARE

MANGANELLI PUGNALI PATIBOLI

VENT’ANNI DI RAPINE DUE ANNI DI CARNEFICINE

I BRIGANTI SUGLI SCANNI I GIUSTI ALLA TORTURA

TRIESTE VENDUTA AL TEDESCO

L’ ITALIA RIDOTTA UN ROGO

QUESTO SI CHIAMA GOVERNARE

PER FAR GRANDE LA PATRIA

APPRENDEREMO DA FONTE DIRETTA

LA STORIA VISTA DALLA PARTE DEI CARNEFICI

PARLERANNO I DIPLOMATICI DELL’ ASSE

I FIERI MINISTRI DI SALO’

APRIRANNO

I LORO ARCHIVI SEGRETI

DI OGNI IMPICCATO SAPREMO LA SEPOLTURA

DI OGNI INCENDIO SI RITROVERA’ IL PROTOCOLLO

CIVITELLA SANT’ANNA BOVES MARZABOTTO

TUTTE IN REGOLA

SAPREMO FINALMENTE

QUANTO COSTO’ L’ ASSASSINIO

DI CARLO E NELLO ROSSELLI

MA FORSE A QUESTO PUNTO

PREFERIRANNO RINUNCIARE ALLA PAROLA

PECCATO

QUESTI GRANDI UOMINI DI STATO

AVREBBERO TANTO DA RACCONTARE

giugno 1953

Un pensiero di Piero Calamandrei
06/03/2005 12:08
di Ospite

« In questa Costituzione c'è dentro tutta la nostra storia, il nostro passato; tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie sono tutti sfociati qui in questi articoli »

Piero Calamandrei

Riforma della Costituzione prima delle elezioni
08/03/2005 18:07
di Anonymous User

Riforma della Costituzione prima delle elezioni Nota di Palazzo Chigi dopo colloquio Berlusconi-Calderoli

(ANSA) - ROMA, 8 MAR -"E' ferma intenzione della Cdl di far approvare, in prima lettura al Senato, la riforma della Costituzione prima delle elezioni regionali". Lo annuncia una nota di palazzo Chigi dopo un incontro tra lo stesso Berlusconi, il ministro Calderoli e il ministro Maroni. Il motivo della permanenza della Lega al Governo sono le riforme in assenza delle quali - ha detto Calderoli - viene meno la presenza della Lega nel governo e il motivo per restarci.

21 Marzo 2005 - il Senato voterà la nuova Costituzione il mercoledì santo, un articolodi Raniero La Valle
21/03/2005 15:43
di Ospite

L'OBIETTIVO

di Raniero La Valle (Liberazione , 20/03/05)

Mancato l'obiettivo che era stato fissato per l'8 marzo il Senato voterà la nuova Costituzione mercoledì prossimo, che una volta si chiamava mercoledì santo. Ciò facendo il Senato voterà non solo contro l'ordinamento della Repubblica, per dare vita a un nuovo regime, ma voterà anche contro se stesso; infatti nel nuovo sistema il Senato non avrà più alcuna funzione politica di controllo del governo del Paese, e perderà anche il suo ruolo nella formazione delle leggi, tranne di quelle che, attraverso un complicato gioco di competenze, gli verrebbero ancora date in esame in quanto interessanti le regioni. Il Senato pertanto, benchè col nuovo nome pretenzioso di "Senato federale", diverrebbe una "Camera muerta", come ha detto il sen. D'Amico della Margherita, alludendo al nome irriverente con cui è chiamata la seconda Camera spagnola.

Forse è per questa riluttanza al suicidio che i senatori hanno fatto mancare più volte il numero legale, provocando l'ira di Calderoli e facendo scattare l'ennesimo ricatto della Lega, che vuole a tutti i costi la riforma prima delle elezioni regionali, e perciò prima di Pasqua. Se dunque anche questa volta il ricatto funzionerà ("bastano cinque ore e mezzo di lavoro", ha detto Berlusconi), la nuova Costituzione completerà tra poche ore la sua prima lettura parlamentare, quella nella quale le storture più vistose della riforma potevano ancora essere corrette. Dopo il voto del Senato, o la nuova Costituzione, con la sua seconda parte interamente rifatta, arriverà fino in fondo in questa forma, o non ci arriverà affatto. Ma quando questo avverrà dipende esclusivamente dai calcoli elettorali del presidente del Consiglio (si chiama ancora così) che deciderà se accorciare o allungare i tempi della seconda lettura parlamentare, da tre mesi ad un anno, unicamente in base a quelle che ritiene le sue convenienze, come del resto accade per tutto il resto, truppe in Iraq, tasse, ponte sullo Stretto ecc., che andranno avanti o indietro a seconda dei sondaggi e dei supposti vantaggi elettorali per il cavaliere. Così anche la Costituzione della Repubblica è pronta ad essere scambiata per un piatto di lenticchie; se sarà elettoralmente conveniente, il trofeo sarà consegnato a Bossi prima dell'estate, così che il referendum costituzionale si svolgerebbe prima delle elezioni politiche del 2006; altrimenti i tempi della seconda lettura saranno ritardati, e la Lega continuerà a minacciare sfracelli.

Questo gioco sui tempi, che agita le acque della maggioranza di governo, è molto significativo, perchè vuol dire che l'illusione della destra di un cambio di regime indolore, fatto senza che la gente se ne accorga, senza rischiare l'impopolarità, sta tramontando. La tattica dell'occultamento, del silenzio, della dissimulazione del sovvertimento della Repubblica dietro la maschera della "devolution" e del federalismo, ha funzionato per mesi, per anni, grazie anche alla complicità, o alla trascuratezza, o alla incredulità dei giornali, della tv, e della stessa sinistra; ma basta che il velo si squarci, che la vera natura della riforma si venga a sapere, perchè l'opinione pubblica si allarmi, chieda di essere informata, si accorga di avere nella Costituzione un bene che sta per perdere e si prepari a combattere nel referendum, come possono attestare tutti quelli che in questi giorni girano l'Italia per difendere la Costituzione, a cominciare dal presidente Scalfaro, gratificato dal più totale silenzio-stampa. E mentre la gente si sveglia, l'operazione coperta, clandestina, intrapresa dalla destra si rivela perdente e indifendibile.

Una clamorosa conferma di ciò si è avuta nelle reazioni furenti che si sono scatenate contro Prodi quando infine ha denunciato questo "assalto alle istituzioni" proprio perchè "nessuno possa dire domani che non sapeva, che non vedeva, che non capiva". La virulenza delle contumelie rovesciate su Prodi, l'irrisione, la caricatura, la volontà di screditarlo e delegittimarlo, senza in nessun modo entrare nel merito della sua critica, da Berlusconi a Fini a Schifani, sono state così esacerbate e adirate da mostrare che non ce l'avevano con quello che Prodi aveva detto, ma col fatto che l'avesse detto, cioè che avesse rotto l'omertà, la finzione, l'inganno, e avesse detto: il re è nudo. Dunque è essenziale che si faccia chiarezza su quello che è il vero obiettivo della riforma: questo obiettivo è la Repubblica. Si è creduto o si è fatto finta di credere che la Lega avesse rinunziato al suo proposito di scardinare lo Stato, passando dal programma secessionista ai più miti consigli del federalismo. Ma il 12 marzo scorso Bossi ha detto al "Corriere della Sera": "La devoluzione è la leva per scardinare il sistema. Fatto il federalismo politico, sarà difficile tornare indietro. Quando la gente potrà decidere i programmi, reclamerà i soldi per realizzarli". Il fisco come tessuto connettivo dello Stato moderno; distrutto il fisco, è distrutto lo Stato. E nella manifestazione leghista di Verona contro il giudice Papalia, una lapide in marmo celebrava insieme la morte metaforica del procuratore-capo Guido Papalia, "con la morte della Repubblica italiana".

Berlusconi invece non vuole dividere la Repubblica, ma unificarla sotto il proprio potere sovrano. Tale è la riforma che, proprio come ha detto Prodi, esautora il Presidente della Repubblica, umilia le Camere, limita il ruolo delle istituzioni di garanzia, espropria le opposizioni (perfino del voto in Parlamento), instaura la dittatura del primo ministro, e insomma trasforma la Repubblica parlamentare e rappresentativa nel feudo inalienabile di un monarca, benchè ancora formalmente elettivo. Sicchè non sarà nemmeno proponibile il paragone tra la nuova Costituzione e quella del '47 oggi vigente; il vero confronto dovrà farsi per analogia col precedente della legge 24 dicembre 1925 in cui venne istituito "il governo del re" esercitato dal "capo del governo, primo ministro, segretario di Stato", che sanciva la subordinazione del Parlamento al potere esecutivo, sicchè il capo del governo, primo ministro e segretario di Stato (e Mussolini aggiunse di suo: duce del fascismo), poteva far di nuovo votare e approvare senza discussione una proposta di legge rigettata da una Camera; fu quello l'inizio del regime.

Quando Brecht si chiedeva nel suo dramma come era potuta avvenire "la resistibile ascesa di Arturo Ui", ecco, era avvenuta così. E a chi non vuol sentir parlare di regime, basti dire che secondo la nuova Costituzione i poteri del primo ministro non incontrerebbero limiti istituzionali; e ciò è tanto vero che un difensore della riforma, il senatore di Forza Italia Vizzini, intervenendo al Senato ha esortato a non preoccuparsi per la "deriva bonapartista", perchè in ogni caso a frenare "il potere governante" interverrebbero "altri fattori di natura extraistituzionale, quale ad esempio la cultura politica dominante nel Paese". Questo è dunque l'avversario nei cui confronti vuole affermarsi il nuovo potere, questo è l'antagonista contro cui la riforma è fatta: "la cultura politica dominante", cioè la cultura democratica del Paese.

E in effetti è proprio questa che deve salvare la Repubblica. Anche ricordando che c'è uno specifico divieto costituzionale che rende radicalmente illegittima la riforma in corso d'opera: è l'art. 139 della Costituzione, l'ultimo, il quale stabilisce che "la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale". Ciò non riguardava i Savoia, a cui pensava un'altra norma, transitoria e finale, della Costituzione. Riguardava la forma repubblicana, cioè parlamentare e rappresentativa dello Stato, che è appunto quella che la riforma demolitrice, il cui obiettivo è la Repubblica, verrebbe a travolgere.

Il presupposto politico della Costituzione italiana: l'antifascismo. Un pensiero di Giuseppe Dossetti
06/03/2005 21:05
di Ospite

" In realtà la costituzione italiana è nata ed è stata ispirata da un grande fatto globale, cioè i sei anni della seconda guerra mondiale. (..) Anche il più sprovveduto o il più ideologizzato dei costituenti non poteva non sentire alle sue spalle l'evento globale della guerra testè finita. Non poteva, anche che lo avesse cercato di proposito, in ogni modo, dimenticare le decine di milioni di morti, i mutamenti radicali della mappa del mondo, la trasformazione quasi totale dei costumi di vita, il tramonto delle grandi culture europee, l'affermarsi del marxismo in varie regioni del mondo, i fermenti reali di novità in campo religioso, la necessità impellente della ricostruzione economica e sociale all'interno e tra le nazioni, l'urgere di una nuova solidarietà e l'aspirazione al bando della guerra. Quindi l'acuirsi delle ideologie appena ritrovate e l'asprezza dei contrasti politici fra i partiti appena rinati, lo stesso nuovo fervore religioso determinato dalla coscienza resistenziale non potevano non inquadrarsi, in un certo modo, in vasti orizzonti, al di là di quello puramente paesano, e non poteva non inserirsi anche in una nuova realtà storica globale a scala mondiale.

Insomma, voglio dire che nel 1946 certi eventi di proporzioni immani erano ancora troppo presenti alla coscienza esperenziale per non vincere, almeno in sensibile misura, sulle concezioni di parte e le esplicitazioni, anche quelle cruente, delle ideologie contrapposte e per non spingere, in qualche modo, tutti a cercare, in fondo, al di la di ogni interesse e strategia particolare, un consenso comune, moderato ed equo. Perciò la Costituzione italiana del 1948, si può ben dire nata da questo crogiolo ardente ed universale, più che dalle stesse vicende italiane del fascismo e del postfascismo; più che dal confronto/scontro di tre ideologie datate, essa porta l'impronta di uno spirito universale e, in un certo modo, trans-temporale."1

Chi cambia la Costituzione per sconfiggere l'avversario
14/04/2005 19:02
di Ospite

Chi cambia la Costituzione per sconfiggere l'avversario

Gustavo Zagrebelsky - (La Repubblica, 29/03/2005)

Le costituzioni sono fatte di materia, di pasta specialissima. Negli ultimi tempi questa materia è andata corrompendosi. Il problema ora, se non vogliamo il peggio, è, prima di ogni altra cosa, restaurarla.

Invece di ricominciare immediatamente ad azzuffarsi sulle cose fatte e a rinfacciarsi colpe, cedimenti, opportunismi e contraddizioni: cose improduttive e meschine che interessano una cerchia sempre più limitata di persone, sarebbe bene, come si dice pedestremente, fare un passo indietro e cogliere con uno sguardo d'insieme quel che è appena accaduto.

Vediamo, da una parte, una destra che , osteggiando la costituzione "vecchia", se ne fa una sua "nuova", dall'altra una sinistra che, unica cosa chiara, osteggia la costituzione della destra, per il resto c'è chi, nella sconfitta, invoca la necessità di un proprio e diverso progetto, chi scrive nuove "bozze" e chi recupera proposte d'altri tempi, senza che si riesca nemmeno a capire, innanzi tutto, qual è l'atteggiamento verso la costituzione che abbiamo, quella che viene dalla Liberazione e dall'Assemblea Costituente del 1947. C'è da stupirsi che, contro questi geniali capitani, cresca il risentimento?

Indipendentemente dall'essere di destra o di sinistra e indipendentemente dal giudizio che si dia dell'opera compiuta dal Parlamento e quindi anche nel caso che, per assurdo, la si giudichi in sé e per sé un capolavoro costituzionale; indipendentemente da tutto ciò, chiunque, con questo sguardo d'insieme, non può mancare di vedere la catastrofe costituzionale che ci sta innanzi.

La materia speciale di cui sono fatte le costituzioni è l'adesione a qualcosa da costruire in comune. Azione costituente è precisamente cercare i contenuti di questa adesione e mettterli per iscritto. C'è stata invece la ricerca consapevole del risultato contrario: la sconfitta dell'avversario, con un colpo di maggioranza assestato con forza costituzionale. Qui non c'è la materia; questa non è costituzione, ma lotta costituzionale.

Una Costituzione imposta così si fa bella della parola, ma si fa beffe della sostanza. Essa, invece che costituzione, dovrebbe dirsi atto di governo che si riveste di forma, e quindi di forza, costituzionale. Se volessimo ritrovare degli antecedenti, potremmo pensare al documento del 1653 di Oliver Cromwell, denominato propriamente non costituzione ma Instrument of government. Si trattava di organizzare un potere per realizzare la rivoluzione puritana. I documenti di questo tipo sono atti di forza del governo che vogliono essere, per così dire, massimamente forzuti o atti, per così dire, di governissimo.

Si annunciano così altri scontri, non appena (prima o poi) i rapporti di forza saranno cambiati. Come abbiamo ora una costituzione della destra, avremo – secondo la legge universale delle azioni e delle reazioni politiche che Benjamin Constant ha studiato rispetto al succedersi dei colpi costituzionali in Francia, dopo la Rivoluzione – una costituzione della sinistra? Si pensa di procedere così? Non c'è costituzione se la sua base di consenso non trascende le divisioni della politica comune, non trascende cioè, anzitutto, la divisione maggioranza-opposizione. Una costituzione del governo non è una costituzione perché non ne ha la legittimità necessaria. Questa mancanza iniziale si rifletterà sugli atti che saranno compiuti in futuro, sulla sua base. Invece che pacificare, alimenterà il conflitto. Un bel risultato «costituzionale», non c'è che dire. Il testo appena approvato al Senato si è presentato così: Disegno di legge costituzionale presentato dal presidente del Consiglio dei ministri (Berlusconi), dal Vicepresidente (Fini), dal ministro per le Riforme Istituzionali e la Devoluzione (Bossi), e dal ministro per le Politiche Comunitarie (Buttiglione), di concerto col ministro dell'Interno (Pisanu) e col ministro per gli gli Affari Regionali (La Loggia). Un piccolo aspetto di forma? No: un'aberrazione di sostanza. Questa intestazione sarebbe naturale per una legge ordinaria, con la quale il governo, nel rispetto de quadro costituzionale, attua il suo programma; non lo è per una costituzione. L'iter parlamentare è stato conseguente. Il Senato ha votato sotto la minaccia di crisi di governo (e di scioglimento anticipato) perché un ministro aveva posto una specie di questione di fiducia (vietata dall'art. 32 del testo ora approvato) e il presidente del Consiglio e gli altri l'avevano accettata, con riguardo addirittura ai tempi dell'approvazione. I senatori della maggioranza hanno assicurato presenza e voto come richiesto e, ancora una volta, si sono arresi al ricatto. Bisognerebbe aver assistito ai lavori dell'aula, per comprendere che cosa può significare prevaricazione del governo sulla sua maggioranza, insolenza della maggioranza sull'opposizione e gnerale umiliazione del Parlamento. Gli storici delle istituzioni ricorderanno forse solo due persone che, sottraendosi alla logica sbagliata dello scontro tra schieramenti, hanno salvato la dignità costituzionale del Senato: il senatore Andreotti e il senatore Fisichella. Naturalmente, ciò che precede vuol essere solo una precisazione concettuale ai fini della comprensione. Chi ha agito così, sapeva certo cosa stava facendo in quel momento e sarebbe ridicolo fargli la morale in nome di un concetto (anche se – aggiungo – i concetti e i loro nomi esigono rispetto). Hanno ragione quanti dicono che non si è trattato di improvvisazione o leggerezza. Si tratta invece di una concezione e di un programma. Anche senza arrivare a rievocare torvi precedenti, come l'identificazione del "politico" con la contraddizione radicale amico-nemico, è chiaro che qui, alla fine, si è manifestata l'insofferenza, più volte onestamente dichiarata, verso la mediazione, i compromessi, i controlli: verso quelli che, in una parola, sono detti impacci e sono invece gli equilibri della democrazia. Sotto questo aspetto, la presente vicenda costituzionale è un segno di stanchezza democratica ed è una primizia che prefigura un futuro politico: un futuro delineato dai poteri davvero assoluti del premier e dai rapporti di dominazione che egli potrà intrattenere con un Parlamento che, a differenza di oggi, sarà nelle sue mani non solo de facto, ma anche de jure. Per chi li ha a disposizione si tratta degli articoli 14 e 16 (formazione delle leggi), 27 (scioglimento della Camera dei deputati) e 94 (governo in Parlamento).

Si è detto e si dirà: ma anche la maggioranza di centro-sinistra, alla fine della scorsa legislatura, si è approvata da sola la "sua" riforma della Costituzione, la riforma concernente il nuovo assetto delle regioni e delle autonomie locali. Si tenga comunque conto delle differenze. Innanzitutto non si è trattato di contraddire la costituzione precedente ma di sviluppare diversamente e ulteriormente principi preesistenti (la tutela delle autonomie, nel rispetto dell'unità della Repubblica, conformemmente all'art. 5 della Costituzione). In secondo luogo, l'allora opposizione di centro destra dissentiva non perché non volesse quelle modifiche, ma perché voleva andare oltre. Voleva di più rispett a ciò che era già qualcosa. Infine, le modifiche di allora sono quasi nulla rispetto alle attuali, quanto a rilevanza e incertezza per l'avvenire. Invocare questo precedente per giustificare il presente èdunque una forzatura. Come ha scritto Galli della Loggia, c'è pur sempre una gerarchia negli errori e, in ogni caso, se errore fu quello, non si capisce perché lo si sia voluto ripetere, aggravato. In effetti, fu un errore, determinato anche da ingenui calcoli politici di breve periodo (chiudere la legislatura con un risultato di spicco; tagliare l'erba sotto i piedi alla Lega [!], ecc.), che ha causato poi notevoli problemi pratici di attuazione delle nuove norme, anche in quel caso approvate in fretta e furia. Onde, fatte le debite proporzioni, quest'accusa di aver smarrito, anzi di aver corrotto, la materia costituzionale si estende a quella che era la maggioranza di allora ed è l'opposizione di ora. Del resto, essa si rese conto dello strappo che si veniva compiendo, del deficit di legittimità che insidiava la riforma appena approvata. Fu la stessa maggioranza a chiedere il referendum sul nuovo testo, per trarre da lì quello che in Parlamento era mancato. E così fu compiuto un altro strappo: il referendum da oppositivo (cioè da strumento della minoranza) qual è fu trasformato in confermativo-plebiscitario oppositivo (cioè in strumento della maggioranza) quale non deve essere. L'effetto plebiscitario non vi fu, dato l'ostica materia e la bassa partecipazione popolare al voto; ma il precedente pericoloso fu posto, e oggi c'è chi nell'interesse della maggioranza attuale, pensa di ripeterlo.

Si tratta ora di fare opera di restauro, in previsione del referendum. Per questo è inutile, anzi perfino controproducente continuare con toni via via più accentuati, man mano che si avvicinerà la data del referendum, il confronto tra le parti politiche che stanno in Parlamento. Più si continua così, più si prosegue nella distruzione della speciale materia di cui sono fatte le costituzioni e più si rafforza l'impressione tra i cittadini che, in fondo, non si tratti che di una delle tante controversie che dividono maggioranza e opposizione. In materia costituzionale, occorre per l'appunto non dividere e approfondire le divisioni, ma unire. Il monopolio della discussione e del confronto detenuto dai soggetti politici avvelenerebbe ulteriormente il clima e non prometterebbe niente di nuovo. Pochi sono ormai quelli che, da una parte e dall'altra, sono disposti a vedere nelle parole dei propri avversari politici qualcosa di più che non la difesa interessata delle proprie posizioni di potere. C'è certamente dell'ingiustizia in ciò, ma purtroppo sembra essere così e, se è così, viene per l'appunto a mancare la materia della costituzione.

Questo è invece il momento in cui la vita politica ha bisogno di un aiuto, di un supplemento di responsabilità che non può che essere dato dalla società non direttamente implicata politicamente. Il referendum, sempre, è questo. In particolare lo è il referendum costituzionale. Occorre che i cittadini che ne hanno la possibilità, come singoli e come organizzazioni sociali, le associazioni culturali d'ogni tipo, i mezzi di comunicazione, nei mesi che ci separano dal voto, avvertano che questo è il momento del loro impegno. Occorre trovare parole nuove, discorsi diversi da quelli uditi mille volte e sempre meno ascoltati; occorre far comprendere che la posta in gioco non è il successo o la sconfitta di questa o quella parte politica ma il modo d'essere del nostro vivere insieme. L'obiettivo prioritario non è ottenere la bocciatura o l'assoluzione di questa riforma della Costituzione. È la ricostruzione di un tessuto costituzionale, cioè della materia stessa di cui la Costituzione è fatta. Il giudizio sulla riforma è secondario e presumibilmente verrà da sé.

Gustavo Zagrebelsky

LA COSTITUZIONE ITALIANA/ INTERVENTO DI PIERO CALAMANDREI ALL'UMANITARIA, 1955
06/03/2005 12:21
di Ospite

La Costituzione Italiana: Intervento di Piero Calamandrei all'Umanitaria di Milano del 26 gennaio 1955

Il 26 gennaio 1955 ad iniziativa di un gruppo di studenti universitari e medi, fu organizzato a Milano, nel salone degli affreschi della Società Umanitaria, un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana, inviando insigni cultori del diritto ad illustrare, in modo accessibile a tutti, i principi morali e giuridici che stanno a fondamenta della nostra vita sociale.

La parola del maestro indimenticabile suona, ancora oggi, come un altissimo richiamo all’impegno scientifico e morale di tutti i giovani che si apprestano ad una sempre rinnovata battaglia di civiltà, di progresso e di libertà.

Ecco la parte sostanziale di ciò che Egli disse introducendo il corso e precisando i fondamenti storici della Nostra Costituzione. Il corso è stato inaugurato e concluso da Piero Calamandrei e, non senza viva commozione, Egli ritorna tra noi con la sua eloquenza nobile e pur semplice, con dottrina profonda, scientificamente serena e civilmente incitatrice.

Ass. La Conta ONLUS - Storie e culture delle genti dal mondo --------------------------------------------------------------------------------------------

La Costituzione italiana: difendiamola!

"L’art.34 dice: “i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” E se non hanno mezzi! Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo, che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo; non impegnativo per noi che siamo al desinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica. Una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della Società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la Società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinnanzi!

E’ stato detto giustamente che le Costituzioni sono delle polemiche, che negli articoli delle Costituzioni, c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate, riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute: quindi polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino, contro il passato. Ma c’è una parte della nostra Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la Società presente. Perché quando l’articolo 3 vi dice “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce, con questo, che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo, contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare, attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è una Costituzione immobile, che abbia fissato, un punto fermo. E’ una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire, non voglio dire rivoluzionaria, perché rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente; ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità, per molti cittadini, di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della Società. Quindi polemica contro il presente, in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente.

Però vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei giovani. La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica. E io quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà di quei due emigranti, due contadini che traversavano l’oceano, su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca, con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora uno di questi contadini, impaurito, domanda a un marinaio “ ma siamo in pericolo?” e questo dice “secondo me, se continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento affonda.” Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno, dice: “Beppe, Beppe, Beppe”,….“che c’è!” … “Se continua questo mare, tra mezz’ora, il bastimento affonda” e quello dice ”che me ne importa, non è mica mio!” Questo è l’ indifferentismo alla politica.

E’ così bello e così comodo. La libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io. Il mondo è così bello. E vero! Ci sono tante belle cose da vedere, da godere oltre che ad occuparsi di politica. E la politica non è una piacevole cosa. Però, la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai. E vi auguro, di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare,vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.

La Costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va affondo, va affondo per tutti questo bastimento. E’ la Carta della propria libertà. La Carta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo. Io mi ricordo le prime elezioni, dopo la caduta del fascismo, il 6 giugno del 1946; questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto delle libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare, dopo un periodo di orrori, di caos: la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi, andò a votare. Io ricordo, io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui. Queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni. Disciplinata e lieta. Perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare, questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, della nostra patria, della nostra terra; disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto, questo è uno delle gioie della vita, rendersi conto che ognuno di noi, nel mondo, non è solo! Che siamo in più, che siamo parte di un tutto, tutto nei limiti dell’Italia e nel mondo.

Ora vedete, io ho poco altro da dirvi, in questa Costituzione di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli. E a sapere intendere dietro questi articoli, ci si sentono delle voci lontane.

Quando io leggo: nell’articolo 2 “L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale” o quando leggo nell’articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli”, “la patria italiana in mezzo alle altre patrie” ma questo è Mazzini!Questa è la voce di Mazzini. O quando io leggo nell’articolo 8: “Tutte le confessioni religiose, sono ugualmente libere davanti alla legge” ma questo è Cavour! O quando io leggo nell’articolo 5 ”La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” ma questo è Cattaneo! O quando nell’articolo 52 io leggo, a proposito delle forze armate “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”, l’esercito di popolo, e questo è Garibaldi! O quando leggo all’art. 27 “Non è ammessa la pena di morte” ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria!!

Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!! Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Quindi quando vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta morta. Questo è un testamento, un testamento di centomila morti.

Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione."

 

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  Chi cambia la Costituzione per sconfiggere l'avversario
29/03/2005 13:39


GUSTAVO ZAGREBELSKY

 

la Repubblica - 29 marzo 2005

 

Le Costituzioni sono fatte di materia, di pasta specialissima. Negli ultimi tempi questa materia è andata corrompendosi. Il problema ora, se non vogliamo il peggio, è, prima d´ogni altra cosa, restaurarla.

Invece di ricominciare immediatamente ad azzuffarsi sulle cose fatte e a rinfacciarsi colpe, cedimenti, opportunismi e contraddizioni: cose improduttive e meschine che interessano una cerchia sempre più limitata di persone, sarebbe forse bene, come si dice pedestremente, fare un passo indietro e cercare di cogliere con uno sguardo d´insieme quel che è appena accaduto. Vediamo, da una parte, una destra che, osteggiando la costituzione "vecchia", se ne fa una sua, "nuova"; dall´altra, una sinistra che, unica cosa chiara, osteggia la costituzione della destra. Per il resto, c´è chi, nella sconfitta, invoca la necessità di un proprio e diverso progetto, chi scrive nuove "bozze" e chi recupera proposte d´altri tempi, senza che si riesca nemmeno a capire, innanzitutto, qual è l´atteggiamento verso la costituzione che abbiamo, quella che viene dalla Liberazione e dall´Assemblea Costituente del 1947. C´è da stupirsi che, contro questi geniali capitani, cresca il risentimento?

Indipendentemente dall´essere di destra o di sinistra e indipendentemente dal giudizio che si dia dell´opera compiuta dal Parlamento e quindi anche nel caso che, per assurdo, la si giudichi in sé e per sé un capolavoro costituzionale; indipendentemente da tutto ciò, chiunque, con questo sguardo d´insieme, non può mancare di vedere la catastrofe costituzionale che ci sta innanzi. La materia speciale di cui sono fatte le costituzioni è l´adesione a qualcosa da costruire in comune. Azione costituente è precisamente cercare i contenuti di questa adesione e metterli per iscritto. C´è stata invece la ricerca consapevole del risultato contrario: la sconfitta dell´avversario, con un colpo di maggioranza assestato con forza costituzionale. Qui non c´è la materia; questa non è costituzione, ma lotta costituzionale.

 

Chi cambia la Costituzione

 

Una Costituzione imposta così si fa bella della parola, ma si fa beffe della sostanza. Essa, invece che costituzione, dovrebbe dirsi atto di governo che si riveste di forma, e quindi di forza, costituzionale. Se volessimo trovare degli antecedenti, potremmo pensare al documento del 1653 di Oliver Cromwell, denominato propriamente non costituzione ma Instrument of government. Si trattava di organizzare un potere per realizzare la rivoluzione puritana. I documenti di questo tipo sono atti di forza del governo che vogliono essere, per così dire, massimamente forzuti o atti, per così dire, di governissimo.

Si annunciano così altri scontri, non appena (prima o poi) i rapporti di forza saranno cambiati. Come abbiamo ora una costituzione della destra, avremo – secondo la legge universale delle azioni e delle reazioni politiche che Benjamin Constant ha studiato rispetto al succedersi dei colpi costituzionali in Francia, dopo la Rivoluzione – una costituzione della sinistra? Si pensa di procedere così? Non c´è costituzione se la sua base di consenso non trascende le divisioni della politica comune, non trascende cioè, innanzitutto, la divisione maggioranza-opposizione. Una costituzione del governo non è una costituzione perché non ne ha la legittimità necessaria. Questa mancanza iniziale si rifletterà sugli atti che saranno compiuti in futuro, sulla sua base. Invece che pacificare, alimenterà il conflitto. Un bel risultato «costituzionale», non c´è che dire.

Il testo appena approvato dal Senato si è presentato così: Disegno di legge costituzionale presentato dal presidente del Consiglio dei ministri (Berlusconi), dal Vice presidente (Fini), dal ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione (Bossi), e dal ministro per le Politiche comunitarie (Buttiglione), di concerto col ministro dell´Interno (Pisanu), e col ministro per gli Affari regionali (La Loggia). Un piccolo aspetto di forma? No: un´aberrazione di sostanza. Questa intestazione sarebbe naturale per una legge ordinaria, con la quale il governo, nel rispetto del quadro costituzionale, attua il suo programma; non lo è per una costituzione. L´iter parlamentare è stato conseguente. Il Senato ha votato sotto minaccia di crisi di governo (e di scioglimento anticipato) perché un ministro aveva posto una specie di questione di fiducia (vietata dall´art. 32 del testo ora approvato) e il presidente del Consiglio e gli altri l´avevano accettata, con riguardo addirittura ai tempi dell´approvazione. I senatori della maggioranza hanno assicurato presenza e voto come richiesto e, ancora una volta, si sono arresi al ricatto. Bisognerebbe avere assistito ai lavori dell´aula, per comprendere che cosa può significare prevaricazione del governo sulla sua maggioranza, insolenza della maggioranza sull´opposizione e generale umiliazione del Parlamento. Gli storici delle istituzioni ricorderanno forse solo due persone che, sottraendosi alla logica sbagliata dello scontro tra schieramenti, hanno salvato la dignità costituzionale del Senato: il senatore Andreotti e il senatore Fisichella.

Naturalmente, ciò che precede vuol solo essere una precisazione concettuale ai fini della comprensione. Chi ha agito così, sapeva certo che cosa stava facendo in quel momento e sarebbe ridicolo fargli la morale in nome di un concetto (anche se – aggiungo – i concetti e i loro nomi esigono rispetto). Hanno ragione quanti dicono che non si è trattato di improvvisazione o leggerezza. Si tratta invece di una concezione e di un programma. Anche senza arrivare a rievocare torvi precedenti, come l´identificazione del "politico" con la contraddizione radicale amico-nemico, è chiaro che qui, alla fine, si è manifestata l´insofferenza, più volte onestamente dichiarata, verso la mediazione, i compromessi, i controlli: verso quelli che, in una parola, sono detti impacci e sono invece gli equilibri della democrazia. Sotto quest´aspetto, la presente vicenda costituzionale è un segno di stanchezza democratica ed è una primizia che prefigura un futuro politico: un futuro delineato dai poteri davvero assoluti del premier e dai rapporti di dominazione che egli potrà intrattenere con un Parlamento che, a differenza di oggi, sarà nelle sue mani non solo de facto, ma anche de iure. Per chi li ha a disposizione, si tratta degli articoli 14 e 16 (formazione delle leggi), 27 (scioglimento della Camera dei deputati) e 94 (governo in Parlamento).

Si è detto e si dirà: ma anche la maggioranza di centro-sinistra, alla fine della scorsa legislatura, si è approvata da sola la "sua" riforma della Costituzione, la riforma concernente il nuovo assetto delle regioni e delle autonomie locali. Si tenga comunque conto delle differenze. Innanzitutto, non si è trattato di contraddire la costituzione precedente ma di sviluppare diversamente e ulteriormente principi preesistenti (la tutela delle autonomie, nel rispetto dell´unità della Repubblica, conformemente all´art. 5 della Costituzione). In secondo luogo, l´allora opposizione di centro-destra dissentiva non perché non volesse quelle modifiche, ma perché voleva andare oltre. Voleva di più, rispetto a ciò che era già qualcosa. Infine, le modifiche di allora sono quasi nulla rispetto alle attuali, quanto a rilevanza e incertezza per l´avvenire. Invocare questo precedente per giustificare il presente è dunque una forzatura. Come ha scritto Galli della Loggia, c´è pur sempre una gerarchia negli errori e, in ogni caso, se errore fu quello, non si vede perché lo si sia voluto ripetere, aggravato. In effetti, fu un errore, determinato anche da ingenui calcoli politici di breve periodo (chiudere la legislatura con un risultato di spicco; tagliare l´erba sotto i piedi alla Lega [!], ecc.), che ha causato poi notevoli problemi pratici di attuazione delle nuove norme, anche in quel caso approvate in fretta e furia. Onde, fatte le debite proporzioni, quest´accusa di aver smarrito, anzi di aver corrotto, la materia costituzionale si estende a quella che era la maggioranza di allora ed è l´opposizione di ora. Del resto, essa si rese conto dello strappo che si veniva compiendo, del deficit di legittimità che insidiava la riforma appena approvata. Fu la stessa maggioranza a chiedere il referendum sul nuovo testo, per trarre da lì quello che in Parlamento era mancato. E così fu compiuto un altro strappo: il referendum da oppositivo (cioè da strumento della minoranza) qual è fu trasformato in confermativo-plebiscitario (cioè in strumento della maggioranza) quale non deve essere. L´effetto plebiscitario non vi fu, data l´ostica materia e la bassa partecipazione popolare al voto; ma il precedente pericoloso fu posto e oggi c´è chi, nell´interesse della maggioranza attuale, pensa di ripeterlo.

Si tratta ora di fare opera di restauro, in previsione del referendum. Per questo è inutile, anzi perfino controproducente continuare con toni via via più accentuati, man mano che si avvicinerà la data del referendum, il confronto tra le parti politiche che stanno in Parlamento. Più si continua così, più si prosegue nella distruzione della speciale materia di cui sono fatte le costituzioni e più si rafforza l´impressione tra i cittadini che, in fondo, non si tratti che di una delle tante controversie che dividono maggioranza e opposizione. In materia costituzionale, occorre per l´appunto non dividere e approfondire le divisioni, ma unire. Il monopolio della discussione e del confronto detenuto dai soggetti politici avvelenerebbe ulteriormente il clima e non prometterebbe niente di nuovo. Pochi sono ormai quelli che, da una parte e dall´altra, sono disposti a vedere nelle parole dei propri avversari politici qualcosa di più che non la difesa interessata delle proprie posizioni di potere. C´è certamente dell´ingiustizia in ciò, ma purtroppo sembra essere così e, se è così, viene per l´appunto a mancare la materia della costituzione.

Questo è invece il momento in cui la vita politica ha bisogno di un aiuto, di un supplemento di responsabilità che non può che essere dato dalla società non direttamente implicata politicamente. Il referendum, sempre, è questo. In particolare lo è il referendum costituzionale. Occorre che i cittadini che ne hanno la possibilità, come singoli e come organizzazioni sociali, le associazioni culturali d´ogni tipo, i mezzi di comunicazione, nei mesi che ci separano dal voto, avvertano che questo è il momento del loro impegno. Occorre trovare parole nuove, discorsi diversi da quelli uditi mille volte e sempre meno ascoltati; occorre far comprendere che la posta in gioco non è il successo o la sconfitta di questa o quella parte politica ma il modo d´essere del nostro vivere insieme. L´obbiettivo prioritario non è ottenere la bocciatura o l´assoluzione di questa riforma della Costituzione. E´ la ricostruzione di un tessuto costituzionale, cioè della materia stessa di cui la Costituzione è fatta. Il giudizio sulla riforma è secondario e, presumibilmente, verrà da sé

LA PATRIA PERDUTA - E. G. Della Loggia
29/03/2005 11:27


 

di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

 

Corriere - 24 marzo 2005 

 

È impossibile nascondersi la gravità di quanto è accaduto ieri al Senato. Dopo la Camera, infatti, l’assemblea di Palazzo Madama ha approvato definitivamente in prima lettura una riforma della Costituzione italiana che distrugge alcuni aspetti caratterizzanti dell’organizzazione dello Stato repubblicano e modifica in profondità il funzionamento dei massimi organi del suo potere politico nonché lo schema dei loro rapporti. Il panorama delle rovine è presto descritto. Viene estesa a dismisura, anche a campi delicatissimi come quello dell’istruzione e della sicurezza pubblica, la capacità legiferatrice delle Regioni: lo Stato centrale mantiene sì formalmente l’esercizio di un potere d’interdizione, ma in misura attenuata e così ambigua che l’unico risultato prevedibile è una crescita esponenziale del contenzioso Stato-Regioni, già oggi ben oltre il limite di guardia. Nell’ambito del potere centrale, poi, la fine dell’attuale bicameralismo perfetto serve ad installare un Senato di nuovo tipo - presentato come «federale» ma in realtà non eletto in rappresentanza delle Regioni in quanto tali, e con competenze ridotte rispetto ad una vera camera politica - e una Camera dei deputati sovrastata da un primo ministro eletto dal popolo ma che, in barba ad ogni logica costituzionale, potrà a certe condizioni essere sfiduciato dalla stessa ed avrà, insieme, il potere di scioglierla quando gli piacerà. Ciò che in conclusione la riforma costituzionale realizza - per giunta non subito ma, tanto per accrescere la confusione, in varie tappe scaglionate nel tempo - sarà un incrocio contraddittorio e micidiale di accentramento e decentramento, all’insegna dell’istituzionalizzazione della paralisi e dell’apoteosi del ricatto.

Del resto è solo per il ricatto continuo e minaccioso della Lega che l’onorevole Berlusconi e la destra hanno dato il via a un progetto simile. È esclusivamente, cioè, per il proprio immediato tornaconto politico che il presidente del Consiglio e altre forze della sua maggioranza, che al pari di lui non hanno mai manifestato alcun interesse per il federalismo, e anzi sono ideologicamente ai suoi antipodi come Alleanza nazionale, lo hanno improvvisamente abbracciato, accettando così cinicamente di mettere mano al disfacimento del Paese.

Perché di questo si tratta: la riforma della Costituzione voluta dal governo e dalla sua maggioranza costituisce forse il più grave pericolo che l’unità italiana si trova a correre dopo quello terribile corso sessant’anni orsono nel periodo seguito all’armistizio dell’8 settembre. Mentre in misura altrettanto forte sono in pericolo la funzionalità e l’efficienza della direzione politica dello Stato da un lato, e dall’altro alcuni valori di fondo della nostra convivenza, non più garantiti da una tutela pubblica affidabile.

Di fronte a questa prospettiva inquietante, non ci sembra che abbia molto senso unire la nostra voce al coro di quelli che, sia pure con qualche ragione, mettono sotto accusa le responsabilità anche della sinistra per aver aperto la porta al disastro attuale approvando, con una ristrettissima maggioranza, le modifiche del Titolo V della Costituzione nella scorsa legislatura. Anche nelle responsabilità c’è una gerarchia, e oggi quello che appare in modo indiscutibile è il primo posto guadagnato dalla destra e dal suo capo nella corsa a fare il male del Paese. Per realizzare il misfatto hanno bisogno però del consenso dei cittadini nel referendum confermativo da qui ad un anno o quando sarà: vedremo allora se gli italiani sono davvero stanchi di avere una Costituzione e una patria.

Come raccontare la Costituzione Italiana ai nostri bambini.
25/03/2005 11:28

Carlo M.

La Costituzione raccontata ai bambini

di Anna Sarfatti

 Gli articoli fondamentali della Costituzione

 per apprendere fin da piccoli l’abicì della democrazia.

 

In questo testo dialogano due personaggi, simbolo di due generazioni: una maestra che racconta sotto forma di filastrocche gli articoli della Costituzione più significativi per i bambini; e un bambino che risponde alla maestra, commentando con spontaneità e sensibilità le parole ascoltate.

I lettori sono invitati a identificarsi in questi personaggi, emblematici rappresentanti di quel dialogo quotidiano e di ampio respiro che rende la scuola luogo speciale di relazioni e di formazione.

Questo lavoro si rivolge principalmente a insegnanti e alunni di scuola primaria o del primo ciclo della secondaria, ma anche a genitori e figli. La mediazione dell’adulto oltrechè auspicata è necessaria per favorire il commento ai testi delle filastrocche, per ampliarli, riportarli alle esperienze del singolo o del gruppo e infine raffrontarli con gli articoli della Costituzione appositamente riportati in appendice.

Lo scopo di questa proposta è quello di invitare i bambini e i ragazzi ad avvicinarsi al testo della Costituzione attraverso un approccio giocoso, per superare il senso di distanza creato dalla “freddezza” del linguaggio tecnico giuridico e dalla complessità di taluni articoli.

L’auspicio è che, attraverso questa chiave di ingresso, si raggiunga l’incontro con la Costituzione per riflettere insieme ad un livello più alto sulle nozioni di giustizia, uguaglianza, rispetto e libertà, e per avviare nei bambini una prima consapevolezza del proprio ruolo di cittadini. 

Premier onnipotente
25/03/2005 10:01


INTERVISTA a Oscar Luigi Scalfaro:

questa riforma mortifica il Parlamento e il presidente della Repubblica

 di VITTORIO RAGONE

 

la Repubblica - 25 marzo 2005

 

ROMA - «Celebriamo i sessant´anni dalla liberazione da una dittatura e nello stesso tempo ci presentiamo con questa concentrazione di poteri nelle mani di un uomo solo? E´ follia... possibile che non abbiamo imparato nulla?» Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica e a suo tempo bestia nera del berlusconismo nascente, liquida così la riforma istituzionale del Polo: «mortifica» Parlamento e capo dello Stato - afferma - e partorisce un premier «onnipotente». «Ma onnipotenza e democrazia non possono coesistere».

Presidente: il centrosinistra, dopo il voto del Polo sulla riforma istituzionale, grida alla democrazia in pericolo. Condivide?

«Condivido per ragioni di merito e per ragioni di metodo. Il metodo è stato incredibile».

Per la verità l´attuale opposizione, quand´era maggioranza, votò da sola la riforma del titolo quinto della Costituzione, quello sulle competenze delle regioni. Se l´ha fatto l´Ulivo, perché il Polo no?

«Su quella decisione espressi un parere fermamente contrario. L´ho ripetuto infinite volte: fu un grave errore. Ma se lo si ritenne un errore allora, perché rifarlo oggi, e rifarlo moltiplicato?».

Metodo sbagliato, lei dice. E la sostanza? Davvero si giustifica tanto allarme per gli equilibri della democrazia?

«La riforma votata dalla maggioranza stravolge la Costituzione. La nostra Carta - nata dopo una dittatura e una guerra disastrose - poggia sul potere del popolo, inteso non come potere della piazza ma come espressione, attraverso il voto, dei rappresentanti liberamente eletti. Al vertice c´è il Parlamento. Il presidente della Repubblica è al di sopra e per questo ha un potere tra gli altri, il più forte: lo scioglimento delle Camere. Il Parlamento mette al mondo il governo con la fiducia e lo manda a casa con la sfiducia. Abbiamo quindi un esecutivo che è collegato al Parlamento: questo dialogo tra Parlamento e governo è la vita delle democrazie».

E perchè la riforma del Polo stravolge questo equilibrio?

«Innanzitutto, il Parlamento ne esce mortificato perché viene privato della motivata posizione dominante di oggi. Così il presidente del Consiglio viene scelto con voto diretto, nomina i ministri e può revocarli; una volta fatto il suo governo si presenta al Parlamento, cioè all´unica assemblea politica, la Camera dei deputati. Non chiede la fiducia: può chiederla, ma come eccezione. Normalmente non la chiede. La Camera non ha titolo per dare la fiducia. Nasce così un governo separato dal Parlamento. Se il primo ministro scavalca le Assemblee e dialoga col popolo, può farlo. Legittimamente. Questa grave mortificazione del Parlamento è il capovolgimento della situazione attuale».

Quali altri punti sono inaccettabili?

«Il presidente della Repubblica viene privato in particolare del potere di scioglimento, che passa al Primo Ministro. Il capo dello Stato anche in questa riforma è definito garante della Costituzione: ma garante come - chiedo - , di che cosa, con quali poteri, se l´unico potere forte gli viene tolto? Già ebbi modo di dirlo al Senato: il presidente della Repubblica lo avete messo in canottiera, anzi a torso nudo. A queste due modifiche - ai danni del Parlamento e del capo dello Stato - si aggiunge un primo ministro onnipotente».

Un vestito su misura per Berlusconi, no?

«Non guardo, né mi interessa in questo momento, chi sarà il primo ministro. Ma invito tutti a una riflessione. Stiamo celebrando in questi giorni il sessantesimo della Liberazione, il crollo di una dittatura che tolse ai cittadini la libertà, il diritto di voto, il diritto di associazione, il diritto di sindacato e di libera stampa per fare accenno ai più importanti... e nello stesso tempo ci presentiamo con questa concentrazione di poteri nelle mani di un uomo solo? E´ follia: sessant´anni sono uno spazio minimo, un niente nel cammino di un popolo. Possibile che non abbiamo imparato nulla?».

Forse se aveste collaborato a costruire la riforma il risultato sarebbe stato diverso.

«La maggioranza ripete continuamente all´opposizione l´accusa di non aver collaborato. Ma è un´accusa falsa. Io ho vissuto la collaborazione ai tempi dell´Assemblea costituente, quando le forze politiche erano tutte a un tavolo per cercare di trovare un denominatore comune: 555 eletti, al voto di fine dicembre del 1947 soltanto 62 voti contrari alla nascente Costituzione. Ogni cittadino, vedendo sorgere il primo gennaio del 1948 la Carta, potè dire con soddisfazione: "Questa Costituzione è anche mia", perché era stata votata da una maggioranza enorme. La "partecipazione" di cui parla il centrodestra non è altro che un prendere o lasciare».

Anche a lei sono tornate in mente le leggi fascistissime del ‘25?

«Lasciamo stare il passato. Mi basta dire che ieri (mercoledì, ndr) è stata per me una giornata di profonda tristezza. Quel che è avvenuto è una vergogna sul piano storico e della democrazia. Ed è una gran pena vedere uomini che hanno militato in forze democratiche come la Dc e il Psi dare ogni appoggio».

Ammetterà che certe esigenze, e in particolare il rafforzamento dell´esecutivo, sono avvertite un po´ da tutti, e da anni.

«L´ho detto altre volte: con questa Costituzione e queste leggi De Gasperi ha governato per sette anni, e ha governato bene. Ma esiste una totale distinzione fra governare e comandare. Governare vuol dire che ognuno partecipa. Comandare vuol dire che c´è qualcuno che ha la forza del comando e ci sono altri che accettano di essere servi. E´ doloroso ed è pesante ma è così».

Vi resta la strada del referendum.

«Da mesi giro l´Italia dando il mio apporto, ma c´è un problema che mi preoccupa fortemente: nessuno pensi che sia così facile vincere un referendum. Il timore maggiore non ce l´ho per coloro che vogliono a ogni costo una Costituzione fatta a uso e consumo di qualcuno, ma per quelli che non se ne interessano, che stanno agli slogan. E che vanno a votare non sapendo per che cosa votano. Noi abbiamo bisogno che i cittadini italiani si esprimano con consapevolezza. Bisogna tenere gli occhi aperti e non stancarsi mai di ricordare che ciascun cittadino è chiamato a una grossa assunzione di responsabilità».

Non teme il ritorno alle crociate, il Paese spaccato?

«Ho anche un´altra preoccupazione. Mi sento i brividi quando costituzionalisti anche bravi, nel desiderio di trovare comunque intese, finiscono per collocarsi in zona intermedia, più idonea a determinare gravi cedimenti che a fare da ponte fra impostazioni inconciliabili. Attenzione a compiere un passo che è come mettere un piede in una tagliola».

Che vuol dire? Che la guerra dev´essere totale e la riforma è tutta da cancellare?

«Non sono mai del parere: buttiamo tutto, perché mi sembra sempre eccessivo. Però dobbiamo togliere tutto ciò - purtroppo è moltissimo - che non è assolutamente accettabile. Non è accettabile la mortificazione del Parlamento, che si traduce nella pesante mortificazione dei singoli parlamentari; non è accettabile ridurre a una figura senza poteri il capo dello Stato; e non è accettabile che una persona sola, in regime democratico, abbia l´onnipotenza. Onnipotenza e democrazia non possono coesistere».

Saccheggio a Palazzo Madama
24/03/2005 17:11

Nando Dalla Chiesa

Saccheggio a Palazzo Madama

Ora state attenti. Immaginate di essere in uno stadio immenso. E che uno speaker dalla voce tonante annunci a un pubblico sterminato le formazioni delle squadre, usando le cadenze ritmiche di una volta, quelle che hanno fatto la leggenda del calcio. Immaginate di sentire la formazione della prima squadra, che chiameremo «Costituzione 1». Eccola. Ascoltatela bene. Nenni; Einaudi, Parri; Saragat, De Gasperi, Togliatti; Calamandrei, Moro, Pertini, Croce, Dossetti (con panchina di lusso: Valiani, Amendola, Nitti, Terracini, La Pira, Lazzati, Di Vittorio, Ruini, la Malfa senior...).

E immaginate poi di ascoltare, nel frastuono della folla e della Storia, la formazione della seconda squadra, che chiameremo “Costituzione 2”. Eccola di nuovo. Ascoltate bene anche questa. Bondi; D'Onofrio, Nania; Bossi, Calderoni, Castelli; Schifani, Pastore, Berlusconi, Fini, Previti (con panchina assai più risicata, ma su cui siede, lo si riconosce in lontananza, La Malfa junior).

Senza offesa per nessuno, e ben sapendo che il vero valore dei politici lo misurano i posteri, la differenza tra le due formazioni appare perfino imbarazzante: comunque sufficiente a dire di che cosa sia capace l'una e di che cosa sia capace l'altra. Il guaio è che se gli antichi godono i frutti della fama che si tributa a chi non c'è più, i posteri godono della possibilità di agire indisturbati contro i loro avversari.

Le umane vicende li hanno infatti resi vincitori di libere elezioni ed essi fanno quel che gli pare.
Un autentico saccheggio di patrimonio ideale. A questo sembrava di assistere ieri mattina al Senato. E l'amarissima sensazione si trasferiva nei gesti, nel clima, nelle parole che pur occorreva pronunciare. Sembrava di assistere a una grande azione di demolizione compiuta in fretta e con poco rispetto per mura e suppellettili (e fondatori) da una immobiliare di arricchiti, vogliosi di rifare il cuore della città a proprio uso e consumo.

Il risultato? Fate la seguente operazione-finestra. Andate su Internet e leggetevi il testo uscito dal Senato. E prima ancora di vedere che cosa c'è scritto, osservate un'altra cosa, forse più importante: la lunghezza degli articoli. E poi ficcateci dentro il naso e, sempre prima di studiare i contenuti, guardate come quegli articoli sono scritti. È impressionante, fa perfino impallidire la differenza tra il testo originale e quello odierno. Tanto sono stringati, brevi, incisivi, solenni, gli articoli della Costituzione, tanto sono lunghi, prolissi, sbrodolati, tignosi, gli articoli di questo guazzabuglio. Nella Carta fondativa della Repubblica c'è una quasi plastica rassegna di princìpi.

Poche parole per scolpire i valori, i grandi punti di riferimento di un Paese che vuole tornare alla democrazia dopo il fascismo e la tragedia bellica e i campi di sterminio. Nel testo approvato ieri un articolo può durare pagine, proprio come è già avvenuto nel testo più pazzo del mondo, quello che pretende di riformare, anziché la psiche dell'estensore, l'ordinamento giudiziario della Repubblica. E tanto è chiaro e netto il linguaggio della Carta uscita dalla Resistenza, al punto che anche un ragazzino la può leggere e capire, altrettanto involuto e avvocatesco è il linguaggio di questa Carta uscita dalla baita estiva di Lorenzago. Più che una Costituzione, il Senato ha licenziato ieri qualcosa che, dal punto di vista dello stile, sta a metà tra un codice e un regolamento di condominio. Sarà un caso ma il solo articolo che, nel cambiamento, è rimasto asciutto come prima è quello che riguarda il bilancio dello Stato; poiché in tema di bilanci, come sappiamo, è sempre meglio non esagerare con obblighi e prescrizioni.

Ma perché, questa è la domanda, ad articoli brevi e solenni si sostituiscono (come già con l'articolo 111 sul giusto processo ai tempi dell'Ulivo) dei dettagliati ordini di servizio? Perché la riga e mezzo dell'articolo 70 (la funzione legislativa) diventa uno sproloquio di romanzo in burocratese? La risposta è semplice, mortificante. Perché mancano i principi, perché non c'è il compromesso nobile di chi costruisce qualcosa insieme sapendo che terrà fede, nello spirito anzitutto, all'impegno scritto. Perché è friabile il terreno su cui si costruisce. Per questo occorrono mille aggiustamenti, paletti, filtri, aggiunte, condizioni e riserve. Perché quasi nulla si tiene in proprio, sulla base di un patto di fedeltà. Ma le Costituzioni che vengono scritte così sono Costituzioni senz'anima. Nascono morte.

Che dire a questo punto? Tornare alle critiche tante volte espresse, sulla dittatura della maggioranza (concetto fornito di piena cittadinanza nella storia delle dottrine politiche), sullo sbilanciamento dei poteri, sulla corrosione delle garanzie, sul federalismo fasullo ma con in sé il dna della secessione? Forse oggi, poiché le scene di vita danno colori più limpidi alle battaglie delle idee, conviene mettere nello zaino della propria memoria ciò che si è visto e sentito. Il mio gruppo parlamentare che ha goduto di tre-minuti-tre a testa per discutere la nuova Costituzione.

I silenzi dell'Udc, che lanciava urla strazianti invocando che si fermasse la “deriva” in atto e che in aula ha taciuto rigorosamente salvo parlare alla fine per la bocca del senatore D'Onofrio; il quale, con i capelli corvini delle grandi occasioni, ha spiegato - lui ex ministro - che in più di mezzo secolo in Italia non c'è stato pluralismo. E poi ha pure spiegato che non è vero che aumentano i giudici costituzionali di nomina politica, anzi sono diminuiti. Oggi, ha assicurato, sono cinque; ora diventeranno di meno, perché la Camera dei deputati ne nominerà tre, e i quattro del Senato mica sono politici, quello sarà il Senato federale.

Lo volete capire o no?, ha chiesto in segno di sfida all'opposizione. No, gli è stato risposto in coro. E poi i motteggi dei leghisti, particolarmente in vena contro la patria e contro lo Stato e contro Ciampi, nel loro gioco beffardo di rimandi di banco in banco. Sono pesati e hanno fatto clima, in generale, i silenzi della maggioranza. Una Costituzione stupenda e modernissima, su cui in aula però i suoi sostenitori hanno speso una minuscola manciata di interventi, a dispetto di chi in futuro tenterà di capire le ragioni di tanto entusiasmo attraverso gli atti parlamentari.

Di corsa, senza pathos, ma con la dovuta retorica negli interventi conclusivi. La retorica che ha portato il senatore Pastore (nome felicisssimo per chi guidava il mansueto e disciplinato gruppo di Forza Italia) a giurare che la maggioranza ha le sue radici nell'antitotalitarismo, si tratti del totalitarismo di sinistra o di destra (e questa è un po' azzardata, ne converranno anche i “terzisti”).

La mente torna alla faccia sbigottita degli autonomisti trentini, che si sono trovati inopinatamente buggerati - le promesse non sono state mantenute, giuravano -, con meno autonomia di quanta ne abbiano adesso, e questo grazie all'agognato federalismo. Torna poi, la mente, alla dignità di Domenico Fisichella e del suo dissenso in omaggio ai valori della Destra, o di Renzo Gubert, il sociologo trentino dell'Udc. Torna al tricolore amaramente indossato dall'opposizione e agli striscioni (sempre tricolori) esibiti dalla destra rimasta sola in aula: “Nasce la nuova Italia”, “Stop ai ribaltoni”, “Torna l'interesse nazionale”, roba che ai leghisti un altro po' gli vien l'infarto.

Tutto questo mentre gruppi di senatori dell'opposizione si chiedono costernati e un po' risentiti chi abbia mai deciso che si esca dall'Aula e se non sia un dovere (civile, istituzionale, il mediatico viene dopo) quello di lasciare scritto il proprio “no” a questa poltiglia indigeribile; e se il voto nel nome degli italiani e della propria coscienza sia qualcosa che si decide nelle riunioni delle segreterie senza neanche un'assemblea di discussione con gli interessati, i quali sono pur sempre deputati e senatori della Repubblica, mica fanti del re.

Che questa incolta sovversione avvenga nell'anno sessantesimo dalla Liberazione, come ha ricordato Gavino Angius, rende tutto più simbolico. Ma deve spingere le forze della democrazia costituzionale a ingaggiare una di quelle grandi battaglie ideali che, nel corso della storia, danno senso alla vita dei partiti. E danno senso anche - non sembri troppo - alla vita dei cittadini.

Nando Dalla Chiesa

Fonte: L'Unità

Materiali di informazione e propaganda
24/03/2005 10:25


Per il vostro download:

Sono qui raccolti alcuni materiali di informazione e propaganda prodotto dal Comitato per la Costituzione di Milano e da altri gruppi.

Volantini:  

"Salviamo la Costituzione Italiana",

Volantino del Comitato milanese

Scheda: storia e presentazione delle modifiche costituzionali (e' una scheda di due pagine)

Convocazione della prima assemblea pubblica a Milano

 

Altri materiali:

Appello del Comitato milanese

Relazione introduttiva assemblea "Salviamo la Costituzione" Milano 5 marzo 2005 -  (avv. Federico Sinicato - Osservatorio per la Giustiza)

Dialogo tra un costituzionalista e un giovane ignaro di storia e di diritto
23/03/2005 18:03


Dialogo sul Disastro


di Nicola Tranfaglia


Dialogo tra un costituzionalista e un giovane ignaro di storia e di diritto
Il giurista (A): Puoi dedicarmi un’ora del tuo tempo?
Vorrei parlarti di una legge costituzionale che sta per essere approvata per la seconda volta dal Senato nel silenzio.
Nel silenzio di tutti gli italiani che ne hanno sentito parlare assai poco, se si escludono gli annunci del governo e alcuni articoli apparsi, per lo più, sulla stampa di opposizione.
È una riforma che riscrive o emenda in profondità 43 articoli degli 85 che formano la seconda parte della costituzione.
Il giovane (B): D'accordo. Per un'ora almeno non parleremo soltanto dell'Iraq, del Papa che non sta bene, delle comparsate di Berlusconi su tutti i canali televisivi. Sarà quasi una liberazione!
A: Il primo aspetto che vorrei sottolineare sono i poteri del primo ministro previsti dalla riforma.
È eletto direttamente dagli elettori in collegamento con l'elezione dei candidati alla Camera dei deputati(art.92), é esente dalla fiducia del parlamento ed é nominato dal presidente della repubblica sulla base dei risultati elettorali per la Camera dei deputati. Può chiedere che la Camera dei deputati si esprima con priorità su ogni altra proposta. In caso di voto contrario, il Primo ministro rassegna le dimissioni e può chiedere lo scioglimento della Camera dei deputati (art.94). E può nominare e revocare i ministri senza nessun controllo da parte del Capo dello Stato.
B: Ma non é possibile che la riforma dica proprio così. Se si toglie la fiducia del parlamento per far agire il governo, quali poteri ha il parlamento per limitare i poteri dell'esecutivo? E se il primo ministro può sciogliere la Camera quando gli vota contro, non spingerà i parlamentari a votare sempre per le sue proposte? Ma le cose sono sempre andate così?
A: Mi stupisce che tu mi faccia questa domanda.
Non sai che l'attuale costituzione dà al Presidente della repubblica il potere di nominare il primo ministro con un giudizio che é di valutazione della situazione politica e della maggioranza parlamentare che si può formare?
Non sai che oggi spetta al Capo dello Stato, e non al primo ministro, sciogliere il parlamento se un governo viene battuto e il parlamento non é in grado di formare una nuova maggioranza?
B. No, ti confesso questo non lo sapevo. A scuola nessuno mi ha spiegato la costituzione vigente e all'università non seguo studi storici o di diritto.
Se il primo ministro ha tutti i poteri fissati dagli articoli 92 e 94, che cosa ci sta a fare il presidente della Repubblica: come si fa a rappresentare l'unità nazionale e a presiedere i massimi organi costituzionali se non si dispone di nessun potere e ci si limita a fare soltanto atti dovuti, di tipo notarile?
A. Vedo che arrivi anche tu a tirar queste conseguenze. Ma la riforma non si ferma qui.
All'attuale bicameralismo più o meno “perfetto” che ha caratterizzato la costituzione del 1947 e che é stato a lungo criticato in quanto espressione di un modello di stato unitario piuttosto che federale si sostituisce un senato cosiddetto federale “al quale vengono conferite addirittura funzioni decisionali finali nei confronti della Camera per le leggi che determinano i principi fondamentali nelle materie di legislazione regionali concorrenti e poteri esclusivi, sia pure temperati da un anomalo intervento del Presidente della repubblica, per la valutazione del contrasto di una legge regionale con l'interesse nazionale”. (Allegretti)
E poi nella legge si é creato un terribile pasticcio tra la scadenza dei consigli regionali e quella dei senatori eletti con il nuovo sistema, tanto che l'ex presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida, ha scritto sul “Sole 24 ore” che per questa parte la legge provocherà conflitti costanti e pasticci a cui rimediare di continuo.
B. Davvero non capisco. Perché se si vuol creare una Camera delle autonomie locali, come tante volte ho sentito dire, non si immagina un senato federale con poteri più chiari e indipendenti dagli organi regionali?
A. Vedi, più di un costituzionalista ha notato che in realtà non si é voluto creare una vera Camera delle autonomie per non limitare i poteri del primo ministro. Di qui é scaturito il pasticcio di cui ha parlato Onida.
Ad ogni modo la cosa più grave é che domani si arriva alla seconda approvazione del Senato senza che la grande maggioranza dell'opinione pubblica italiana si sia resa conto che si sta smantellando la costituzione del 1947, la seconda parte ma fatalmente anche la prima per i legami forti che legano le due parti del dettato costituzionale, in vista di una nuova costituzione che non ha risolto i problemi di funzionamento del sistema, anzi li ha aggravati e, nello stesso tempo, ha annullato il controllo del legislativo sull'esecutivo, ha tolto poteri agli organi di controllo come il Capo dello Stato e le magistrature. In questa ultima discussione al Senato i tempi sono stati così stretti e contingentati che il maggior partito di opposizione ha avuto un minuto di tempo per ogni articolo del disegno di legge....
B. Non riesco a credere a quel che mi dici.
Come é possibile che per una riforma così complessa e radicale si contingentino i tempi e il presidente del Senato accetti simili condizioni poste dall'esecutivo? La costituzione non é la cosa più importante per regolare i rapporti tra la politica e la società, tra i cittadini? E come si potrà fare il successivo referendum se finora nessuno ha seguito il dibattito?
A. Eppure le cose vanno proprio così.
Per evitare il ricatto della Lega Nord che, con il suo 3 per cento, minaccia l'uscita dal governo, i partiti maggiori della Casa delle Libertà vanno avanti a colpi di tempi contingentati e affrontano il probabile ostruzionismo dell'opposizione pur di licenziare il testo di un disegno di legge giudicato dalla grande maggioranza dei costituzionalisti italiani un pasticcio giuridico, prima che politico, e un pericoloso passo verso la dittatura del primo ministro.
B. Ora me ne devo andare. Ma non si può dire che mi hai chiarito tutto. Quello che ancora non capisco é perché si butta a mare una costituzione che dura da sessant'anni e ha sempre evitato i pericoli di una dittatura e, al posto di essa, si vuol concentrare i poteri nel capo dell'esecutivo, penalizzando proprio il capo dello Stato e le magistrature di controllo.
A. Non posso spiegarti in pochi minuti come tutto questo é potuto accadere. Ma devo ricordarti che la crisi politica del paese dura ormai da più di vent'anni, per dire una data, dal delitto Moro. E da dieci anni viviamo in piena anomalia costituzionale.
Oggi é al potere un soggetto che vive in flagrante conflitto di interessi, domina quasi completamente i media, aspira ad ottenere tutti i poteri. Se gli italiani continueranno a votarlo e l'opposizione non li convincerà ad abbandonarlo, é fatale che si vada alla dittatura del primo ministro.
Ricordatelo e dillo ai tuoi amici che non si interessano alla politica. Sarà anche colpa loro se le cose andranno così.

Sartori: «Vogliono il dispotismo elettivo»
16/03/2005 15:01


 

Aldo Varano

 

da l’Unità - 16 Marzo 2005

 

ROMA Professore Sartori, lei ha scritto un editoriale sul Corriere titolato “La dittatura del premier”. Se dovesse dare un giudizio di merito sulla riforma in discussione al Senato cosa direbbe?

«Ho sempre sostenuto che la riforma della costituzione progettata dai "saggi" di Lorenzago - e scriva "saggi" con le virgolette - è incostituzionale. Viola i principi stessi del costituzionalismo. Le costituzioni sono strumenti, regole del traffico, ma non solo organizzazioni, sono strumenti limitativi del potere. La riforma al Senato invece dà un potere pressoché assoluto al premier quindi, in questo senso, viola la Grundnorm cioè il fondamento stesso del costituzionalismo. Ho sempre avuto questa posizione, insieme a tantissimi colleghi».

C'è un punto particolarmente odioso, paragonabile per gravità a quel che secondo lei rappresenta la Gasparri rispetto alle televisioni?

«Tutti questi signori che citano le espressioni "tirannide della maggioranza", "premierato assoluto" polemizzandoci si richiamano a una letteratura che non conoscono o che conoscono male o che conoscono di terza mano. Quindi ho voluto precisare che l'espressione "tirannide della maggioranza" in Tocqueville è la tirannide della maggioranza sul pensiero. Non è un concetto costituzionale. Se si vuole, un concetto sociale, sociologico, e di riflesso di formazione di opinione. Ho citato la Gasparri in questo senso: una legge di sistema che regolamenta l'etere consentendo il monopolio delle comunicazioni di massa. Teoricamente è un duopolio. Ma un duopolio controllato dalla stessa persona è un monopolio. Ecco, questa sarebbe una "tirannia della maggioranza" perché crea una manipolazione e un'oppressione sul libero pensiero».

Ci sono altri tipi di dispotismo?

«Certo, ci sono i dispotismi elettivi. Se una maggioranza parlamentare comanda senza rispettare le minoranze, senza limiti, senza autolimiti diventa un dispotismo elettivo».

Ma Prodi esagera quando parla di dittatura del premier?

«Ma no. Ormai lo diciamo tutti. La dittatura per definizione è un eccesso di poteri. Quindi la parola si può usare in senso costituzionale quando c'è una carica o una persona che ha un eccesso di potere, cioè quando non è controbilanciato da altri poteri. Prodi non ha detto dittatura di un dittatore ma dittatura di un premier. Premier è un signore che viene eletto. Il meccanismo democratico dell'elezione del premier sussiste, non è una dittatura. Ma è una dittatura del premier nel senso che il premier, che è una figura che appartiene al contesto liberaldemocratico (fin quando non lo seppellisce), è caratterizzato da eccesso di potere. Nessuno lo frena. Lo stato non conta più niente: perché la Corte costituzionale verrà impacchettata; perché all'autorithy, come abbiamo visto, il premier nomina addirittura i suoi a controllare se stesso e così via e potrei fare un lungo elenco. Così diventa un capo del governo illimitato, incontrollato, incontrollabile, assoluto, cioè privo di legami, e in questo senso ha poteri di tipo dittatoriale. Non dico è un dittatore, ma che ha poteri di quel tipo».

E aggiunge: anche se non siamo alla guerra civile.

«Lo aggiungo perché tutte le volte che qualcuno fa un attacco frontale, arriva un altro e dice: attenzione, si lacera il paese! Io dico che questa è una fregnaccia mai vista. Cosa si lacera? Ci mancherebbe altro! Anche gli americani sono fortemente divisi su Bush che è un altro leader che antagonizza l'opposizione. In democrazia se c'è una proposta di riforma costituzionale, secondo me orribile e addirittura incostituzionale, va affrontata duramente. L'appello a non lacerare il paese è curioso. Chi lo lacera il paese? quella proposta. Si ritiri il disegno di Lorenzago e tutto finisce. Ma questa è una invenzione italiana: prima, dire che si doveva trovare un accordo era un inciucio; ora, si deve per forza trovare un accordo o si lacera. Sono le panzane che inventiamo e inventano i media. Perché non si dovrebbe contrastare qualcosa che merita di essere contrastata duramente? Questa è la democrazia, ragazzi!».

Ma che sta accadendo, secondo lei, attorno alle riforme?

«Che Bossi vuole assolutamente la devolution. La vuole a rotta di collo. Ora, per la fretta di Bossi, è uscita dalla Commissione perché la Lega vuole la devolution prima del voto amministrativo. E tutto quel che Bossi chiede, Berlusconi glielo dà. Non si sa bene perché. Potrebbe anche governare senza i suoi voti e governerebbe meglio. I voti di Bossi non sono indispensabili a Berlusconi. Ma siccome ha questo complesso di soggezione... O forse si somigliano. Gli piace. Uno scamiciato, uno in doppiopetto ma con le affinità elettive. Fatto è che quella riforma ce la vogliono fare ingurgitare. E questo è dispotismo elettivo».

È preoccupato?

«Io sì».

Dobbiamo preoccuparci tutti?

«Io lo spero. Stiamo costruendo la casa nella quale andremo a vivere. Se la casa è costruita da un ingegnere che non sa progettare ci casca addosso. Anche se gli italiani non lo sanno. Ma poi da chi dovrebbero sapere qualcosa? Da questa televisione? È rimasto solo qualche giornale...».

 

 

 

 

Un dialogo sulla costituzione tra Pancho Pardi e Mario Luzi
15/03/2005 18:30


Dialogo tra

Francesco ‘pancho’ Pardi e Mario Luzi

Girotondo per la Costituzione

 

 "La cultura è evanescente. Se la si nomina ogni tanto, e se non la si presenta, se non la si fa    vedere nelle sue attività, diventa una specie di superstizione…"

Francesco «Pancho» Pardi: Partirei dalla Costituzione perché lei, ricevuta la nomina a senatore a vita, ha detto che non avrebbe potuto impegnarsi tutti i giorni al parlamento ma avrebbe espresso la sua opinione tutte le volte che lo avesse ritenuto opportuno, e l’occasione più importante era la questione costituzionale…

Mario Luzi: Mi interessa dire la mia opinione da cittadino. È una questione vitale per la collettività e bisogna tenere gli occhi aperti. La Costituzione è una pagina cruciale della storia italiana. A partire dalle sommosse della prima metà dell’Ottocento, è un fermento che certo proviene dall’Europa circostante, ma mobilita una falda importante della volontà popolare. La Costituzione nostra è una Costituzione conquistata, sotto forma di sommossa, dalla volontà popolare. Non è una Costituzione octroyée com’è avvenuto in altri paesi. Quindi non è una pagina che si può vendere o svendere alla prima occasione. Ha una storia tribolata. Prima la conquista popolare e poi elaborazioni successive. Ha avuto anche delle disavventure nel periodo dittatoriale. È un po’ la linea rossa della nostra statualità…

Pardi: Quando parliamo in pubblico di questo tema, ricorriamo per semplicità a una sintesi rapida. Con la devoluzione si trasforma il Senato in un organo ibrido ignoto in altri ordinamenti, a metà tra la rappresentanza regionale e nazionale, mentre la concessione di poteri alle regioni su istruzione, sanità e sicurezza potrà facilmente produrre disuguaglianze tra i cittadini per la diversa fruizione di quei diritti, oltre a creare infiniti conflitti di attribuzione tra Stato e regioni. È stata indebolita fino all’evanescenza la figura del capo dello Stato perché gli sono stati sottratti tutti i poteri sostanziali. Gli restano ruoli di rappresentanza che ne fanno un servitore della maggioranza, ma i poteri di nomina dei ministri e di scioglimento delle Camere elettive vengono consegnati al futuro presidente del Consiglio, premier forte in grado di ricattare la sua stessa maggioranza e quindi titolare di un potere assoluto. Il potere esecutivo dominerà sul potere legislativo e sul potere giudiziario.

L’Italia non sarà più una repubblica parlamentare. Gli italiani saranno cittadini solo il giorno del voto e sudditi per tutta la durata della legislatura. E tutto ciò indipendentemente dal fatto che il premier forte possa essere Berlusconi, un soggetto ineleggibile, monopolista televisivo e imputato di corruzione della magistratura. Nel qual caso il potere politico assoluto sarebbe protetto anche dal controllo totalitario sui mezzi d’informazione. Ma questa è una sintesi molto contratta.

In realtà si deve aggiungere altro. Chi sostiene che la modificazione di 43 articoli, che pare siano divenuti 49, della seconda parte non lesiona l’impianto della prima sui principî e i diritti fa opera di falsificazione. Perché la penetrazione invasiva degli articoli rifatti, tra l’altro scritti coi piedi (e conoscendo gli estensori non si può stupire), è tale che lo scempio si ripercuote anche sulla prima parte. I costituzionalisti più autorevoli lo hanno spiegato e documentato.

In questa situazione pericolosa per la democrazia, lei che ha vissuto la gioventù durante il fascismo come vede il tentativo di rovesciare l’orientamento democratico della Costituzione?

Luzi: Un accumulo di potere senza controllo che squilibra la balance dei poteri. Tutto il potere in mano a una persona sola è in fondo la dittatura. In più qui c’è uno spirito mercantile: la privatizzazione del paese. O in altre parole: togliere lo Stato. Questa è una minaccia allo Stato. Berlusconi è il Sansone di un processo di demolizione dello Stato come società di eguali, medietas della vita civica. Questo Stato si sta pian piano sgretolando a favore dei potentati economici. In un certo senso, potentati feudali. C’è una regressione dal processo ascendente della storia italiana verso lo Stato. Chi lo ha costruito sa qual è il suo valore e con una profondità maggiore di chi se l’è trovato già fatto. Queste diminutiones, questo attacco allo Stato come centro di vita collettiva, tendono a un ritorno alla preminenza dei poteri personali. Vengono in mente i signorotti che hanno governato o meglio sgovernato l’Italia in altri tempi. Ma vorrei sentire la sua opinione.

Pardi: In questa logica di ragionamento, possiamo chiederci qual è la molla che ha portato le forze politiche che stanno demolendo la Costituzione ad agire in quel senso. Uno dei motivi elementari è la loro estraneità alla Costituzione. Delle quattro forze politiche fondamentali che compongono questa maggioranza ben tre hanno una totale estraneità alla Carta costituzionale. I fascisti l’hanno vista come imposizione del loro nemico, la Lega la considera cosa da incrinare per affermare il regionalismo e magari anche la secessione, e Forza Italia è un partito che fa solo gli interessi del proprio padrone e quindi estraneo alla logica costituzionale. Nell’atteggiamento dei postfascisti lei non ci vede un desiderio di rivincita che potrebbe essere espresso così: voi avevate la vostra Costituzione democratica, ma noi ora abbiamo il potere e la ridisegniamo in modo da imprimerle la nostra impronta?

Luzi: Non so. Secondo me i fascisti hanno anche idee confuse, non riesco a vederli come sostenitori di un progetto coerente. Volevo invece introdurre un altro elemento. Qual è stata nella storia la forza estranea e oppositiva al processo costituzionale? È stato il clero, la Chiesa. Che ora invece si sostituisce a un vuoto di volontà comuni, collettive. In fondo quello che dovrebbe fare, e non fa, il governo lo fa la Chiesa, in questo momento. Dichiarazioni dei vescovi, articoli sull’Osservatore Romano e sull’Avvenire esprimono preoccupazione per ciò che mina il carattere unitario dell’Italia. Hanno a cuore l’unità del paese, che è per loro, si capisce, un’unità cattolica. Ma resta il fatto che i discorsi più unitari in questo momento li ho sentiti dai cattolici, dalle autorità cattoliche, dallo stesso papa. Così, se si escludono le sinistre e i cattolici, sembrano prevalere tendenze anarchiche. In fondo Forza Italia è un partito anarchico. Anarchico e subordinato a un padrone. Non so se lei vede una ratio in quel partito…

Pardi: La ratio è quella del partito azienda. Ma l’aggettivo anarchico, se capisco il senso in cui lo usa, vuole rendere l’idea di un partito che non si confronta con la ragione comune…

Luzi: … scientemente o meno è la regressione allo Stato feudale. Feudalesimo bancario, finanziario…

Pardi: Restando ancora un momento sugli eredi del fascismo, che effetto le fa vedere un erede del partito fascista probabilmente insediato al ministero degli Esteri a rappresentare l’Italia nel mondo?

Luzi: La cosa è grottesca. Pericolosa e grottesca. Anche questo gioco di spostamenti di persone da una casella all’altra, dall’Italia all’Europa e viceversa è una prova di anarchia…

Pardi: … anche di convenienza spicciola per rimediare un pasticcio dietro l’altro…

Luzi: … i valvassori vanno collocati…

Pardi: Le proporrei un altro argomento che riguarda la Costituzione e serve a metterne in evidenza il carattere progettuale. Qualcuno lo ritiene criticabile, perché pensa che la Costituzione dovrebbe determinare solo un quadro imparziale della vita associata e non esprimere una direzione politica. Invece nella Costituzione italiana, proprio perché era stata ottenuta lottando contro la dittatura e con la scoperta della democrazia, c’è un anelito progressivo verso la libertà, l’uguaglianza, i diritti: il cosiddetto carattere progettuale della Costituzione…

Luzi: L’Italia è sempre stata un progetto. Non è mai stata una realtà definita, fondata, sempre invece un’aspirazione. E questa è la verità. E quindi a me non dispiace affatto che questa spinta ci sia anche nella Costituzione, visto com’era nata, anzi rinata, dopo il fascismo. Certo capisco che il giure, quello puro, tenda a fissare principî imparziali. Ma è un po’ un’astrazione vista la storia che abbiamo avuto. Però la maggioranza attuale non rispetta affatto i principî imparziali…

Pardi: … oltretutto molti costituzionalisti fanno osservare che proprio quella progettualità ha trovato scarsa attuazione. Calamandrei parlava della Costituzione come della grande incompiuta, un progetto di nuova Costituzione sociale che però non trovava sbocco. L’uguaglianza sta scritta nella Costituzione ma molti cittadini non l’avvertono come una dimensione reale. Il diritto al lavoro è scritto, ma per molti non c’è…

Luzi: … è come l’Opera del Duomo che procede nel tempo per aggiunte successive. Ma questo non mi dispiace: sapere che si procede, si va avanti. E invece è proprio questo processo progressivo che stanno arrestando. Ora sconvolgono non solo la Costituzione ma anche il diritto come tale. Leggi di pura convenienza, scandali che arrestano il progresso. Questo andazzo è come una musata che noi italiani battiamo nella strada che ci portava avanti. Nelle generazioni precedenti, anche quelle prima della mia, e anche attraverso tanti contrasti, era implicita quella progettualità: sentire di appartenere a una cosa imperfetta, ma proprio per quello perfettibile. Ora questa sicurezza magari inconscia di appartenere a una collettività che aveva questa aspirazione non la sento più io, ma non la vedo neppure nei giovani…

Pardi: Lei ha evocato ora l’idea del flusso della storia. Molti ripetono, in modo forse un po’ convenzionale, che la memoria è importantissima, che siamo fatti di memoria, che la memoria del passato deve essere rivissuta, però se si va a vedere come questo imperativo culturale viene applicato cogliamo all’opera il cosiddetto revisionismo storico, che rovescia la realtà delle cose. I partigiani, su cui poggia il valore della nuova Italia, erano delinquenti e i repubblichini di Salò, che combattevano a fianco dei nazisti, erano combattenti fedeli alla patria fascista. Lei avrà saputo che c’è il disegno di dare ai fascisti della effimera repubblica di Salò la dignità di combattenti. Alla fine sarebbero equiparati ai partigiani che hanno lottato per la liberazione e i sopravvissuti avranno magari la pensione…

Luzi: La memoria può essere usata. La memoria-ricordo può essere usata come un’arma: così produce disgregazione. Oggi si può denigrare e banalizzare. Le figure importanti di quel periodo possono essere svilite. E questa è una cosa nefasta, secondo me. Ma nella difesa della resistenza non c’è bisogno di grandi dichiarazioni e di proclamazioni di fedeltà. Deve semplicemente agire in noi la riflessione sulla condizione umana e sulla condizione civica. Si possono fare celebrazioni, ma conta soprattutto la concretezza di fronte al vaniloquio. Le battaglie che si fanno oggi sembrano dispersione di energia e retorica, in gran parte. Mentre la resistenza, chi l’ha fatta e chi ne può parlare ai figli….

Pardi: In questa opera di svilimento della memoria, si perde l’esemplarità dell’esperienza di alcuni individui, alcuni suoi contemporanei. Penso a Nuto Revelli o a Mario Rigoni Stern, che hanno vissuto l’esperienza della ritirata di Russia. Alcuni della loro generazione erano partiti come volontari, erano andati convinti di fare del bene e nella loro esperienza di vita hanno misurato l’orrore dell’errore che il paese stava compiendo, e quando sono tornati avevano capito da che parte stare. Hanno preso una direzione completamente diversa, ma nonostante la durezza della lotta hanno serbato perfino una capacità di dialogo. Nel Disperso di Marburg Revelli riesce a vedere in un modo interrogativo quasi amichevole il tenente tedesco non nazista che si trova a vivere la condizione dell’occupante (un personaggio che dialoga a distanza con l’ufficiale tedesco nel Silenzio del mare di Vercors). Il revisionismo storico, equiparando chi stava dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata, cancella la capacità di molti individui che hanno vissuto direttamente l’esperienza di mutare il proprio giudizio davanti alla forza della realtà. Il revisionismo storico è in fondo il rovesciamento della forza dei fatti…

Luzi: … è vero: è stata importante la capacità di alcune conversioni dal combattentismo a una visione critica. Ad esempio Rigoni Stern…

Pardi: … lei lo ha conosciuto…

Luzi: … sì, testimonianze importanti la sua e quella di Revelli… Certo avrebbero potuto essere di più, ma forse chissà quante altre non ci sono arrivate…

Pardi: … oppure arrivano ogni tanto per caso con i diari. Cose che andrebbero riscoperte…

Luzi: ….per esempio l’iniziativa di Pieve Santo Stefano sui diari di vita. È importante. È la memoria vera, documentata, anche dalla sofferenza.

Pardi: Invece, degli intellettuali che si sono impegnati nel revisionismo come in un’opera di demolizione della memoria, corrivi con il potere attuale, che opinione s’è fatto?

Luzi: Mah, ci sono sempre tra gli intellettuali, letterati, giornalisti quelli pronti all’adeguamento…

Pardi: … il tradimento dei chierici…

Luzi: Secondo me è qualcosa di molle che c’è tra noi. Quando ci fu la guerra del Kosovo, feci un manifesto anche sulla spinta di altri amici. Sembrava che questo fosse l’umore degli intellettuali. Quando poi si trattò di comunicarlo, chi lo pubblicò? Solo il Manifesto. Insomma la stampa si era allineata alla decisione della guerra. Vedo questa facilità a tradire, ma più che altro debolezza congenita…

Pardi: Più mollezza d’animo che volontà di tradimento?

Luzi: Mi ricordo, ci fu una cosa in Palazzo Vecchio, sulla guerra qualche mese fa. Erano tutti politici, io dissi che con questa facilità di franare dell’intellettuale italiano si va poco avanti…

Pardi: … viene a mancare quello che dovrebbe essere il punto di riferimento del tessuto civile. Poi forse il tessuto civile se la cava anche da solo, però se avesse il pieno sostegno di chi pensa, di chi scrive…

Luzi: Anche in questa ultima guerra, in partenza sembrava che ci fosse una notevole opposizione tra gli intellettuali…

Pardi: … si sta ammorbidendo, secondo lei…

Luzi: … alla fine furono tutti d’accordo, giornalisti, maîtres à penser. Tutti a fare: sì , mah, incertezze, compromessi… Qui abbiamo visto delle cose scandalose, torture sui prigionieri, massacri di civili. Sono deluso in un modo feroce. È la rovina di tutti gli istituti di mediazione. Si stava andando verso l’anniversario dell’Onu e invece di un intervento efficace c’è stato il fallimento completo. E qui l’impuntatura di vari intellettuali, necessaria, è stata invece debolissima…

Pardi: Questo tipo di atteggiamento ha anche una parentela con l’acquiescenza dimostrata da parecchi verso i governi Berlusconi, verso l’anomalia italiana. In fondo vedere un soggetto ineleggibile e incompatibile con il ruolo a capo del potere politico doveva essere qualcosa che scuoteva almeno il senso critico della misura. Invece, per non parlare degli altri, molti professori d’università non è che abbiano mostrato una gran tendenza a pensare criticamente. Alcuni si sono fatti imbarcare nel governo, altri gli fanno da tecnici, fanno funzionare la macchina, per quel poco che può funzionare, e poi soprattutto c’è la sottovalutazione del problema: ma sì, che volete, tutto passa. Non c’è la sensazione dell’allarme…

Luzi: È quello che si diceva prima: questa mollezza, questo cedimento progressivo…

Pardi: C’è un cedimento alla volgarità? Messa la questione anche solo sul piano stilistico, Berlusconi è il campione della volgarità italiana: ne fa prova il suo modo di comportarsi nelle più diverse occasioni. Ecco, come può una persona di gusto (una volta ne esistevano) sopportare comportamenti come quelli…

Luzi: Ma la volgarità è anche uno strumento di corruzione, che funziona. E questa è una realtà da comprendere e combattere forte. Qualche ravvedimento si incomincia a vedere, con queste ultime elezioni. Però se ci si chiede che potere di corruzione ha questa volgarità la prima risposta è la disponibilità di denaro e di opportunità. La Sicilia lo dimostra: 61 seggi su 61.

Pardi: Lei, come uomo di lettere, poeta, si suppone che abbia da questi fatti, naturalmente, una certa distanza. Lei si sente molto cittadino, ma c’è anche la distanza del poeta. Da quella distanza i politici italiani come li vede? La nostra classe politica?

Luzi: La vedo molto grigia prima di tutto e molto poco ferma. Chi ha elaborato un minimo di programma personale o d’intesa con il suo gruppo ci si immaginerebbe che tenga la sua posizione. Invece qui si vede che tutto è promiscuo. Per esempio stimo molto D’Alema, come intellettuale, però spesse volte non riesco ad afferrare la direzione in cui si muove.

Pardi: Ha fatto anche lui qualche pasticcio, per esempio la Bicamerale, un’operazione sbagliata e per di più sconfitta…

Luzi: … appunto, anche lui. Uno pensa: lui non vuole essere uomo di partito ma di Stato, e questo potrebbe andare, ma anche su quel lato non riesco a seguirlo sempre: le oscillazioni, le perplessità, i ritorni indietro. Ma anche tutti gli altri: non ci si sente sicuri in nessun settore. Forse uno che un po’ recita e un po’ no è Bertinotti. Un po’ recita, ma almeno tiene una linea.

Pardi: Ma in Italia uno Zapatero non c’è…

Luzi: … non c’è. Quella capacità di decisione non c’è…

Pardi: … e poi Zapatero era considerato un moderato, uno tranquillo, ma in poco tempo ha dimostrato che mitezza, rapidità, decisione non sono qualità necessariamente incompatibili nella stessa persona. Però, ora si stava ragionando dei politici, ma per sincerità si dovrebbe ammettere che la stessa società civile italiana ha delle debolezze…

Luzi: In un certo senso i politici sono un riflesso. Vanno dietro alla società…

Pardi: … più che precederla…

Luzi: … non dovrebbero solo precederla ma anche proporre con energia. E invece abbiamo una situazione un po’ grigia, ma anche informe. Non c’è un punto di riferimento…

Pardi: … e poi le volte che la società civile riesce ad avere un colpo di reni e a dire no, che non è d’accordo, oppure che vorrebbe altro, a quel punto viene considerata dai partiti una scomoda interlocutrice se non una vera scocciatrice.

Luzi: Per esempio prendiamo le manifestazioni per la pace. Una cosa molto significativa e auspicabile: almeno una parte della società capisce di essere stata messa di mezzo. Cinquant’anni che siamo presi per i fondelli e poi nessun problema è risolto… Questi pacifisti – parola stupida, pacifisti, ma così per intendersi la usiamo anche noi…

Pardi: … perché stupida? Perché usata in senso dispregiativo?

Luzi: Stupida perché sembra una setta. Invece sono uomini che vogliono essere riconosciuti come uomini. La setta semmai sarebbero gli altri. I fascisti usavano il termine «pantofolari», e oggi il termine pacifisti viene usato con questo sottile disprezzo.

Invece questo movimento pacifista aveva fatto sperare che la nuova società dopo le guerre mondiali avesse camminato un po’. Tante persone manifestano con l’intenzione di testimoniare. Non è che abbiano avuto molto sostegno…

Pardi: Tra l’altro viene imputato loro l’insuccesso: le manifestazioni non hanno fatto cessare la guerra e l’insuccesso sarebbe la dimostrazione che la guerra era inevitabile. Per aggiungere un altro argomento volevo proporle il tema della laicità dello Stato anche alla luce delle elezioni americane. Sembra che i repubblicani abbiano vinto perché hanno mobilitato milioni di elettori che di solito non votano, elettori fondamentalisti: evangelici, cattolici, cristiani rinati… Negli Usa c’è una situazione curiosa. C’è una comunità scientifica molto attiva e molto capace che ha prodotto lavori di altissima qualità su tutti i campi del sapere e poi, di contro, c’è il fondamentalismo dell’ignoranza. Ci sono Stati che vorrebbero impedire, e in qualche caso impediscono, l’apprendimento della teoria darwiniana dell’evoluzione naturale, perché contrasta con il dettato biblico. In America ci sono studiosi che hanno apportato interessantissimi aggiornamenti alla teoria, come Nils Eldredge e Stephen Jay Gould, che hanno fatto progredire l’interpretazione darwiniana, e nello stesso paese ci sono milioni di persone che vengono educate a rifiutare l’insegnamento delle teorie evolutive. Qui c’è un forte contrasto tra gli spiriti laici e la potestà dello Stato. Ma anche da noi non mancano manifestazioni, non così estreme, di contrasto…

Luzi: Ma lì, in quell’America, c’è un dominio dell’ignoranza, e quasi direi della superstizione. Sono fattori meno noti ma non trascurabili della loro storia, e anche quelli fanno numero, e hanno aiutato Bush a vincere.

Pardi: E la laicità dello Stato in Italia?

Luzi: Libera Chiesa in libero Stato. Per fare accettare questo principio c’è voluto molto tempo, perché c’era ancora il potere un po’ esplicito e un po’ occulto del clero. Ma poi è stata vinta questa ruggine, questa contrapposizione. Ora su questi principî si va indietro. Noi siamo in una fase antirisorgimentale, se mi è permessa l’iperbole. Noi stiamo disfacendo quello che hanno fatto generazioni e generazioni, magari in modo imperfetto e confuso. Però avevano lavorato davvero in quel senso. E ora noi torniamo indietro…

Pardi: Che sulla ricerca scientifica vengano posti limiti dall’intransigenza dogmatica…

Luzi: … sono cose che non piacciono, assolutamente. Io posso rimpiangere che la coscienza spesso non sia cresciuta quanto la scienza: spesso c’è stata questa dismisura. Penso al mito di Archimede in cui la coscienza riconosce ed esclude come nocivi certi prodotti dell’artificio umano. Certo, quello che la scienza e la tecnica rendono fattibile prima o poi si fa. Anche la clonazione dell’uomo, a un certo punto, si farà. Poi si vedrà che non conviene, ma intanto la si farà.

Pardi: È importante che in Italia una parte di intellettuali cattolici siano laici. Lei ha detto di essere cristiano ed è laico. Il presidente Scalfaro, ad esempio, è noto per essere un credente molto convinto, ma non gli si può toccare la laicità dello Stato perché la considera un principio fondamentale. Al contrario sembra che in questa atmosfera di guerra culturale propugnata da settori della destra altri cattolici si sentano chiamati…

Luzi: … sono estremismi, che poi sono ottusità. Comunione e liberazione: ho amici letterati, studiosi, ma sembra una setta. Confesso che ho sempre avuto una specie di ripugnanza per tutto ciò che serve a escludere altri: il senso della setta. Mi sono detto cristiano ma non cattolico, perché per molti aspetti il cattolicesimo tende ad attestarsi come una identità esclusiva, che respinge gli altri, si isola dagli altri. Questa cosa l’ho sempre sentita, anche da ragazzo. Mio padre no, ma mia madre era molto religiosa, non donna di chiesa ma di principî molto belli. Ho ricevuto quell’educazione, però non mi riusciva stare nella parrocchia perché quello era un chiudersi. Comunione e liberazione fa questo lavoro. È molto attiva, deve avere anche molti mezzi…

Pardi: La Compagnia delle Opere ha un’attività economica molto vasta…

Luzi: … e anche quello poi che c’entra con la fede? Questo tipo di cattolicesimo mina la laicità dello Stato, cioè si torna indietro. Quell’equilibrio che era diventato legge statale: la scuola accessibile a tutti.…

Pardi: … scuola privata libera ma senza oneri per lo Stato…

Luzi: … se ne discusse a lungo. Sono conquiste irreversibili. Oggi siamo in una fase di regressione atroce e il modo in cui è trattata la scuola ne è testimonianza eloquente. E l’altra è il modo di trattare il nostro patrimonio culturale. Con la rinuncia alla centralità e spezzettando la gestione del patrimonio può succedere di tutto. Ora non guardiamo alla Toscana, ma ci sono regioni che si trovano a gestire qualcosa che non sanno neanche che cos’è, e possono anche…

Pardi: … in teoria possono anche monetizzarlo…

Luzi: … e la manutenzione stessa è un problema gravoso…

Pardi: Lei ha insegnato letteratura francese. Che impressione ha della sua attività di insegnante?

Luzi: Mi ci sono trovato un po’ coinvolto. Avevo insegnato al Liceo. Non avevo inizialmente una vocazione didattica. Nella scuola poi si trova un’amicizia intellettuale con alcuni e la quasi estraneità con altri. Alcuni studenti sono un pungolo, altri ombre che passano…

Quando mi chiamarono a insegnare a Scienze politiche, a via Laura, non avevo la libera docenza, obbiettai, ma il preside disse che la Facoltà poteva chiamare chi riteneva degno. Poi ci sono stato trent’anni. Credo di avere ricevuto giovamento da quell’esperienza. In fondo la cultura francese permette rapporti con la politica, la storia, la diplomazia, mentre io ero abituato a trattare le cose letterarie letterariamente, un po’ così alla meglio. Scelsi autori come Chateaubriand, Benjamin Constant e vidi che questi testi, strettamente legati alla storia politica, riscuotevano grande interesse. Una volta feci un corso su L’introduzione al metodo di Leonardo da Vinci di Paul Valéry…

Pardi: … accidenti, un corso difficile…

Luzi: … Valéry, certo, è molto sottile e in quello studio si cimenta con un tema profondo. Ma vidi che gli studenti erano sensibili all’importanza dell’universo letterario. Insomma era possibile spaziare, ma ho anche partecipato con un po’ di distacco alle cose accademiche. Scienze politiche era per sua vocazione una facoltà un po’ promiscua, avevo degli amici intelligenti, mi ci trovavo bene. E ad Architettura, dove lei insegna?

Pardi: Da laureato in filosofia mi ci sono trovato un po’ per caso. All’inizio mi sentivo un po’ a disagio, poi mi ci sono affezionato sempre di più.

Ma volevo chiederle un’opinione su un aspetto culturale della politica. Le relazioni tra elettorati e schieramenti sono asimmetriche. L’elettorato di centro-sinistra è schizzinoso, non vota per chiunque. L’elettorato di centro-destra sembra più disposto ad adattarsi: bada al sodo. Questa asimmetria è colta bene in un articolo di Tabucchi, oggi sul Manifesto, che fa una domanda provocatoria. Ragionando sul fatto che a proposito del voto in America D’Alema ha detto che bisogna capire le ragioni della destra, Tabucchi rileva che questo atteggiamento funziona sempre a senso unico e non ricorda che quando governava il centro-sinistra ci sia stato qualche liberale che abbia consigliato a Berlusconi di avvicinarsi alle ragioni della sinistra, anzi gli consigliavano di picchiare duro sull’egualitarismo, sullo Stato sociale. Da questo punto di vista, il dialogo tra le parti è sempre sfasato.

Luzi: Nella psicologia dei nostri esponenti, sembra che il bastone di comando sia sempre oscuramente visto in mani temibili e minacciose. Anche nel rimprovero verso tutti quelli che, dalla nostra parte, la pensano in un altro modo, c’è una specie di timore reverenziale nei confronti dell’avversario. La sinistra sta in una condizione di déplacement rispetto a questa colonna di potere anomalo. Un po’ è vero quello che dice Tabucchi. E i movimenti sono una risposta giustificata a questa situazione. Nella sinistra si cerca sempre una specie di approvazione latente da parte della destra…

Pardi: … mentre è impossibile vedere il contrario. Lei ha amici tra gli intellettuali di destra?

Luzi: Direi pochi. Tra i vecchi amici di Scienze politiche, Fisichella…

Pardi: … e infatti è un po’ eccezionale nel suo contesto…

Luzi: … di centro, moderati, parecchi, ma proprio di destra non direi.

Pardi: Avviandoci alla fine, voglio farle sapere che i movimenti stanno preparando una decisa azione a difesa della Costituzione, per arrivare al referendum in una maniera molto organizzata. La nostra sensazione è che non ci si può salvare l’anima dicendo che se la legge passerà il popolo la spazzerà via. Perché la situazione culturale e politica è tutt’altro che invitante. Non bisogna mai dimenticare che circa il 30 per cento, forse più che meno, della popolazione riceve informazioni solo dalla televisione e non legge giornali, libri, riviste. Con i mezzi d’informazione principali nelle mani di una persona sola, arrivare al referendum senza aver fatto una profonda azione di discussione, persuasione, dibattito continuo, è davvero pericoloso. Allora abbiamo in mente di fare una sorta di cammino attraverso l’Italia, città per città. Dobbiamo toccare tutti i registri della comunicazione. Lei sa bene che se si fanno solo dibattiti molto noiosi è difficile toccare la corda giusta. Poi bisogna arrivare ai giovani. Loro non sanno quasi niente della Costituzione. Quindi bisogna passare con disinvoltura dal dibattito divulgativo alla festa popolare e musicale.

Quando cominceremo con le nostre iniziative, nei limiti delle sue possibilità le chiederemo scritti e testimonianze…

Luzi: … sì, è mostruoso cambiare la Costituzione all’insaputa, nell’ignoranza del popolo. Si modificano istituzioni decisive per la democrazia, così, nel vuoto. È mostruoso.

Sono stato a Belluno. Dove c’è un editore d’arte che ha preparato dei libri molto belli. In comune, dove governa il centro-sinistra, c’era una cerimonia. L’opposizione non c’era. Io non me n’ero nemmeno accorto: mi sembra strano che la mia presenza sia stata già in grado di «dividere»…

Il giorno dopo sul giornale cittadino c’era scritto: è sgradevole che Luzi parli di Costituzione.

Pardi: Come: è sgradevole? Sul giornale di Belluno?

Luzi: Questo era l’argomento che la destra ha tirato fuori. E di che cosa si dovrebbe parlare? Se uno deve parlare della sua condizione di cittadino, parla della Costituzione. Quindi questa iniziativa che lei mi dice è molto importante e bisogna fare tutto perché riesca bene. Non si può trattare una cosa così delicata, sostanziale e intrinseca alla nostra storia nel silenzio e nell’indifferenza.

Pardi: Non so se ha visto che in parlamento la legge di modifica costituzionale andava avanti nel disinteresse stesso dell’aula. Fino ai momenti del voto era molto più presente l’opposizione, e la maggioranza andava in aula solo per pigiare il bottone. Qualcuno, forse Rosy Bindi, ha scritto che mai nessuna Costituzione è stata cambiata in un disinteresse così generale dell’aula. Anzi ha detto che la maggioranza ha dedicato alla modifica costituzionale la stessa attenzione che aveva dato a un provvedimento per regolare l’importazione dei ragni velenosi.

Lei si ripromette di intervenire in aula sul merito della questione?

Luzi: Ancora non mi sono affacciato in Senato. Andrò tra poco ad adempiere alle procedure. Incontrerò il presidente del Senato. Poi andrò a fare visita a Ciampi: una persona pulita, con molti meriti.

Ma ce la faremo alle prossime elezioni?

Pardi: Bisognerà battersi con forte intenzione. Non condivido l’atteggiamento di chi dà per acquisito il successo. Essere sicuri della vittoria genera appagamento. Se abbiamo già vinto, perché dovremmo mobilitare il nostro popolo? E invece il nostro compito principale è proprio quello di mobilitare, anche perché dovremo batterci contro mezzi assolutamente sproporzionati ai nostri…

Luzi: … poi l’avversario è abile nel cercare i colpi di scena. E anche se è in difficoltà, o proprio per quello, potrebbe dare dei colpi di coda.

Mah, ho visto tante cose, e molte mi danno un senso di déjà-vu, ma questa situazione è nuova anche per me. Abbiamo avuto anche altre avventure, ma lì si poteva capire: Mussolini era un grande giornalista, un uomo di battaglia. Questo quando apre bocca fa cascare le braccia, dice cose incredibili, e gli uomini di corte sono ancora peggio. Ma i capi si giudicano anche dagli uomini di cui si circondano…

Pardi: … e poi non è vero che è un grande comunicatore: è il proprietario dei mezzi di comunicazione. È un’altra cosa. Mescola banalità e menzogne ma i suoi mezzi lo avvolgono, lo inquadrano dal lato giusto, tagliano le incertezze e le frasi sbagliate, i suoi giornali lo proteggono. I momenti di verità televisiva su di lui sono rarissimi: tra i pochi quello in cui mandò al diavolo, con un gesto triviale, il presidente Scalfaro che stava parlando in aula.

La sottovalutazione del monopolio televisivo, e quindi del relativo conflitto d’interessi, è stato uno degli errori capitali della nostra classe dirigente. Come si fa a dire al proprio popolo: la televisione non conta? E portare come prova il successo nelle amministrative? Dovremmo invece chiederci: quanto avremmo vinto se ci fosse stata parità reale nell’accesso ai mezzi di comunicazione? E i piccoli candidati, gli sconosciuti, quanto potrebbero persuadere se avessero la possibilità di parlare?

Ma prima di chiudere volevo chiederle un’ultima opinione. L’evanescenza della cultura in Italia; l’idea che la cultura è cosa di scarso peso: gli uomini di cultura vengono messi sulla prima scena solo in occasioni molto rare, più usati che ascoltati. La cultura diventa qualcosa di indistinto che non può fare i conti con la durezza della realtà economica e politica. La cultura resta come un limbo non conosciuto, e invece se ci fosse la possibilità, anche solo con la radio, di fare ascoltare la voce indipendente di coloro che nella loro attività hanno avuto l’esercizio della verità, della sincerità… E anche la poesia, sempre confinata in un orizzonte cui si affaccia solo chi è già avvertito… Dare la possibilità ai cittadini di ascoltare i poeti…

Luzi: La cultura è evanescente. Se la si nomina ogni tanto, e se non la si presenta, se non la si fa vedere nelle sue attività, diventa una specie di superstizione…

Chi è interessato ad avere informazioni più precise o a dare un personale contributo in merito alle iniziative in difesa della Costituzione può rivolgersi a  www.laretedeimovimenti.it

Un paio d'osservazioni in margine al problema della "nuova Costituzione"
15/03/2005 18:23


La farfalla sotto l'arco di Tito

Giovanni Ferrara

Vorrei fare un paio d’osservazioni in margine al problema della “nuova Costituzione” la cui approvazione parlamentare è imminente. Un problema terribilmente importante,  della cui importanza, peraltro, come ha notato Romano Prodi, non molti si rendono conto; certo, anche per via delle maniere distratte e ipocritamente smorzate con cui i grandi e piccoli mezzi di comunicazione di massa ne informano gli italiani. Proprio a Prodi, del resto, è stato amichevolmente rimproverato d’aver usato, nel criticare giustamente la Costituzione promossa da Berlusconi e dai suoi alleati (tutti), toni troppo forti e drammatici: come se d’un evento di prima grandezza  giudicato catastrofico per il Paese si potesse mai parlare altrimenti che con  forza e spietata chiarezza!

 

   La prima osservazione prende spunto da una serie di critiche che nel fondo di domenica del “Corriere della Sera” Sabino Cassese muove alle carenze programmatiche del centro sinistra. Insomma,scrive Cassese, a due passi dalle elezioni regionali non sappiamo ancora: primo, che cosa il centro sinistra pensi dell’ordinamento regionale; secondo, qual è la sua linea costituzionale di fondo, se crede che il quadro attuale sia sufficiente a reggere i problemi di governo e legislazione del Paese; terzo, qual è il programma del centro sinistra in materia di ricerca scientifica. 

 

    Naturalmente, Cassese pone gli argomenti e le critiche con la finezza e competenza che gli è propria. Ma il mio problema è un altro. Io non dico davvero che criticare quelle carenze programmatiche del centro sinistra sia in sé sbagliato: dico che non ci si deve distrarre, per gusto di completezza critica, dall’urgente azione principale, l’opposizione alla nuova Costituzione, al suo deprecabile insieme e alle sue improbabili parti. Bisogna chiarire bene a lettori ed elettori le proporzioni relative dei problemi: poiché la Costituzione berlusconiana e bossiana è oggi il vero pericolo, il resto comunque, oggi, è secondario.   

 

   I nostri vecchi professori di ginnasio citavano sempre Giosuè Carducci :"Chi cercherà le farfalle sotto l’arco di Tito?"

 

   L’altra osservazione riguarda un discorso che circola da parecchio tempo in certi ambienti politici, accademici e pubblicistici della sinistra e sulle pagine delle loro riviste e libri che s’occupano di queste cose: la Costituzione proposta dal centro destra, si dice, non è per nulla pessima come certi estremisti sostengono, anzi - salvo alcuni punti come l’ordinamento delle regioni e del nuovo senato - , non è niente male. Prova ne sia che essa somiglia moltissimo, nelle cose essenziali, proprio alle linee costituzionali che la sinistra aveva a suo tempo elaborato e sostenuto. E’ un ragionare strano, che mi colpisce per il gelido, e forse un po'' ottuso, disincanto che ostenta in contingenze tanto gravi e difficili.

   Esso sembra, infatti, venir direttamente incontro a ciò che dal centro destra si dice, e cioè che l’opposizione non ha alcun diritto di criticare il progetto di nuova Costituzione, perché questa ha in sostanza la medesima ispirazione di quella elaborata dalla sinistra pochi anni fa. Il che ha non piccole conseguenze politiche.  

                                               

   Non è difficile, infatti, rendersi conto che qui non è la destra che rende omaggio alla sinistra, bensì, al contrario, è la sinistra che ha reso un  sostanzioso omaggio alla  destra. Se l’ispirazione costituzionale della sinistra è stata assunta, nelle sue linee fondamentali, a modello dalla destra, ciò significa senza dubbio che la sinistra (almeno,una sua parte rilevante) ha vagheggiato una costituzione sostanzialmente di destra.

 

   Non vale il contrario: nessuno potrebbe seriamente dire che la destra progetta una costituzione di sinistra, poiché oggi è lei che ha in mano il gioco e  la sua azione caratterizza ogni suo significativo progetto. La  verità è che la sinistra, nel presentare le linee costituzionali che presentò, offrì il fianco all’abilità indiscussa della destra, che avendo capito subito che quelle linee rappresentavano di fatto, consapevolmente o meno, una vittoria del moderno efficientismo autoritario di governo e intrinseco antiparlamentarismo, essendo essa stessa per natura autoritaria e antiparlamentare, se ne appropriò, indebolendo con ciò la posizione della sinistra, inducendola a dividersi e disorientarsi su una questione d’ importanza politica e portata storica essenziale.

 

   Ma qui si aprirebbe un discorso più complesso, che (non ora) andrà pur fatto: perché mai nella rinnovata sinistra democratica tende a prevalere, sotto nome di inevitabile rinnovamento e modernizzazione, una visione sostanzialmente autoritaria dei poteri di governo, il culto per l’esclusivo efficientismo governativo, un diminuito interesse per le strutture rappresentativo-perlamentari della democrazia, e via dicendo? In tale fenomeno c’è forse un’eco lontana dell’origine (rivoluzionaria) antiparlamentare e antiliberale di tanta parte della vecchia e della nuova sinistra? Quasi che della complessa e difficile natura dell’acquisita democrazia liberale, la sola dimensione fervidamente appresa dalla sinistra post-comunista sia stato il liberismo economico, il mito del mercato, mentre il costituzionalismo della rappresentanza e delle garanzie, sia passato relativamente in sottordine. 

                                        

   In una parte della sinistra, non in tutta, ovviamente: in quella che rende ambiguo omaggio alla destra vantando un primato in fatto d’eversione costituzionale di cui, in realtà, è la destra che storicamente e idealmente ha  ragione di vantarsi.

Un elogio degli italiani e la Costituzione Italiana
06/03/2005 21:27


Furio Colombo:

Elogio degli italiani

 

Tratto da “l’Unità”, 31 Ottobre 2004

Credo sia giunto il momento di dedicare agli italiani un pensiero riconoscente. Qualunque popolo governato con il cinismo, gli spettacoli da circo, le clamorose affermazioni e negazioni, la protervia e l’indifferenza, le false promesse di Silvio Berlusconi e della sua gente, con pretoriani che si dedicano alle minacce da un lato, e brave persone che dicono cose decenti ma poi sostengono e votano tutto, ma proprio tutto ciò che vuole il padrone, qualunque popolo avrebbe perso ogni fiducia nelle istituzioni e nella politica. Penso ai bravi tedeschi e ai testardi francesi. Nessuno gli farebbe ingoiare giorno dopo giorno cinque Tg che descrivono successi e glorie del regime, mentre l’impoverimento rapido e drammatico del Paese viene registrato in tutte le famiglie, e l’immagine dell’Italia nel mondo diventa più umiliante ogni giorno.


Nessuno si lascerebbe insultare dalla ripetizione a mitraglia della frase "siamo in ordine con il programma, finora abbiamo mantenuto tutti i nostri impegni" mentre non uno di quegli impegni è stato mantenuto (salvo le leggi ad personam e quelle anti tribunale già approvate alla svelta con il buon lavoro di deputati che sono avvocati e avvocati che sono addirittura presidenti della Commissione Giustizia). Nessuno si sarebbe piegato alla volontà del leader, espressa attraverso un giornalista del servizio pubblico, di non incontrare mai il suo avversario in televisione, secondo le normali regole democratiche. Non lo accetterebbe perché è una offesa ai cittadini.


Però non è dello scandalo di Berlusconi e del suo governo che vogliamo parlare, ma dello straordinario comportamento degli italiani di fronte a tre anni di un simile modo di governare.


Cominciamo dal peggio. L’Italia è stata dominata da persone come Bossi, Calderoli, Borghezio, Gentilini. Sono quelli che hanno creato (insieme a Fini) la più odiosa legge europea sulla immigrazione (e la più dannosa per le imprese). Sono quelli che hanno personalmente (Borghezio) dato la caccia, di notte, con squadre punitive, agli immigrati, arrivando al punto ( c’è una condanna del Tribunale di Torino) di incendiarne i giacigli. Sono coloro che hanno versato urina di maiale su un terreno di Lodi destinato dal Comune a una moschea. Sono coloro che il giorno di inizio del Ramadan hanno dichiarato: "Questa gente non deve avere neppure un appartamento per pregare". L’Europa giudica i leghisti italiani con disprezzo. I giornali italiani fingono di non saperlo. Nei talk show televisivi i personaggi appena nominati vengono accolti come persone normali. Nessuno, credo, ha dimenticato la raccomandazione di Calderoli, allora vice presidente del Senato, alle ragazze padane: "Uscite munite di forbici da giardiniere per essere pronte a castrare ("zac, fino in fondo", precisava) gli immigrati che vi minacciano".


Eppure, ecco il titolo d’onore che va tributato agli italiani, questo Paese, così umiliato agli occhi del resto d’Europa, non è diventato razzista. Nonostante il traino possente che Berlusconi, con tutti i suoi mezzi mediatici, ha dato alla Lega, distribuendo loro anche pezzi di Rai, l’Italia non è diventata xenofoba, e questo si deve esclusivamente ai cittadini che hanno tenuto duro e si sono ostinati a restare dalla parte della civiltà, compresi molti che in passato avevano votato Berlusconi.


Anche la vicenda di Buttiglione è esemplare. I vari Tg di Berlusconi e i giornali complici prima hanno nascosto l’evento e poi si sono affannati a spiegare che si trattava di una questione di fede. Buttiglione aveva incontrato ostilità ed era stato discriminato perché è un credente. Si è parlato di lobby che danno la caccia ai cattolici. In un Paese cattolico ciò avrebbe potuto scatenare tensione e ostilità, tenuto conto anche della portata razzista della parola "lobby". Il tentativo è clamorosamente fallito. I cattolici italiani non si sono prestati. Buttiglione è stato respinto perché è Buttiglione, il ministro di Berlusconi, un tipo di persona che non ha corso in Europa.


Un esempio costante di cattiveria, disprezzo e malevolenza è venuto decine di volte dalle figure più in vista dello Stato devastato dalla Casa delle Libertà. Lo stesso Buttiglione si è occupato delle ragazze madri, definendole "donne non buone", il ministro della Giustizia ha mostrato costantemente astio e sprezzo verso i carcerati (sono dieci in una cella e lui si domanda divertito se si aspettavano "il Grand Hotel"), ma anche astio e sprezzo verso i magistrati, la cui decisione di continuare a essere indipendenti francamente lo esaspera. E ha incluso nel suo insulto tutta l’opposizione alla Camera e al Senato, dichiarandola "una perdita di tempo" contro cui intende ricorrere al voto di fiducia, pur di far approvare una pessima legge sulla riforma della Giustizia.


Il vicepresidente del Consiglio Fini ha annunciato ai suoi giovani (dunque alla parte più esposta ai cattivi esempi, ai messaggi di odio) "guerra al pacifismo", e ha spiegato loro il malanimo, la viltà e il rischio mortale di coloro che si oppongono alla guerra. Il presidente del Senato ha fatto la sua parte: da storico ha spiegato che l’antifascismo è un fardello che pesa inutilmente sulle spalle dell’Italia. Da filosofo si è dato da fare per accreditare l’idea che in democrazia ci deve essere una sola verità (presumibilmente quella del vincitore) e che il “relativismo”, atteggiamento di pensiero che accetta di considerare alla pari le verità degli altri, è un cancro da cui fuggire, anzi è ciò che mina le basi della democrazia. Da seconda carica dello Stato ha invocato più volte la guerra di civiltà contro l’islamismo. Ha invitato rudemente l’Italia "a svegliarsi", e a combattere. È seguito il paziente silenzio degli italiani.


Sono in molti a non aver dimenticato che il ministro Lunardi, qualche tempo fa, aveva consigliato di "convivere con la mafia", in un Paese che ha già pagato tanto sangue al crimine organizzato. È l’Italia in cui si progetta la devastazione di 43 Articoli della Costituzione per ripulire la strada del premier dai detriti della democrazia, dopo aver tentato di rimuovere antifascismo e Resistenza, e avere equiparato i reduci di Salò (quelli che davano una mano ai tedeschi in via Tasso, nel ghetto di Roma, nella caccia ai partigiani, nelle impiccagioni e fucilazioni degli antifascisti, nel prelievo casa per casa degli ebrei italiani) a tutti gli altri combattenti, compresa la pensione. La pensione per i cacciatori di partigiani e di ebrei.
Come si vede il danno è grande. Questo è il solo governo di un Paese che fa opera di corruzione sui suoi governati, servendosi di un rigido regime mediatico nel quale non passano se non frammenti di informazione libera, e rispetto al quale anche i grandi organi di informazione apparentemente indipendenti (che però hanno visto rimossi direttori e personaggi di primo piano sgraditi al regime) appaiono prudenti, intimiditi, e alternano la finzione del non sapere alla strategia del tenersi alla larga dalle questioni più vergognose fingendo di non aver visto, sentito o capito. Se si aggiunge a tutto ciò l’impegno, ben condotto, dato il controllo dei media, di accusare sistematicamente chi si oppone, chi svela il gioco, chi racconta ciò che non si deve raccontare, di essere complice dei terroristi, si ha l’immagine di un Paese sottoposto a una tempesta di informazioni false, propaganda di Stato, esaltazione continua e concitata del governo, denigrazione, disprezzo e denuncia dell’opposizione.


Certo, a una simile trama, ha risposto il lavoro costante e tenace della opposizione di tutto il centrosinistra in Parlamento. Ma poiché la forma di imposizione comunicativa del regime Berlusconi resta fortissima, occorre dare atto ai cittadini italiani - tutti, anche coloro che a suo tempo avevano preferito un uomo che appariva ricco e sorridente, piuttosto che mentitore e incattivito come si è rivelato - di essersi difesi con buon senso, civiltà e una buona dose di incredulità che ha cominciato a crescere mentre cresceva il regime delle informazioni false.


Le ultime tre tornate elettorali, e soprattutto i sette seggi su sette conquistati dal centrosinistra nelle recenti elezioni suppletive, dicono molto della resistenza italiana al regime. Non è nata la xenofobia che voleva Bossi, non è cominciata la rissa omofobica su cui puntavano i sostenitori di Buttiglione. Il Paese, bombardato di segnali tremendi sulla immigrazione, ha continuato a pensare, come tutti i Paesi civili, che ci vogliono regole ma non prigioni, che le religioni di tutti vanno rispettate, che non si spara sui gommoni dei naufraghi. Il crimine organizzato è sempre un grave pericolo, ma i cittadini continuano a onorare i giudici caduti, a rispettare la libertà dell’ordine giudiziario, a credere nelle denigrate istituzioni repubblicane, a sostenere la Costituzione.
E sono in tanti a pensare che è meglio la legge e le sue regole piuttosto che i fuorilegge e gli ineleggibili al governo. Oltretutto cominciano a misurare la gravità del danno nelle esperienze quotidiane, nel costo della vita, nella devastata immagine italiana nel mondo, che vuol dire anche denigrazione dei nostri prodotti. Ogni giorno svela una bugia. Ogni giorno questi cittadini italiani che hanno resistito contano il tempo da qui alle elezioni. Lì, non da Vespa, si potrà finalmente parlare.

Antonio Tabucchi: Appello al Presidente della Repubblica
06/03/2005 21:24


Antonio Tabucchi:

Appello al Presidente della Repubblica

Tratto da “l’Unità”, 15 aprile 2003

 

 

 

Signor Presidente della Repubblica, Le rivolgo un appello urgente. In altre occasioni durante le difficili vicende del nostro Paese in questi ultimi anni, come altri italiani mi sono rivolto a Lei, non ottenendo risposta. Stavolta i doveri che comportano la carica che Lei ricopre non permettono più il Suo silenzio. Non sono io né altri cittadini italiani che La mettono in una situazione nella quale non solo la Sua parola è indispensabile ma il Suo silenzio sarebbe preoccupante: è lo stesso capo del Governo, l’onorevole Berlusconi, che La costringe a esprimersi.
Perché Lei è il garante della Costituzione. E l’onorevole Berlusconi ha affermato che la Costituzione italiana è di stampo sovietico.
Signor Presidente, l’onorevole Berlusconi, allorché dopo aver vinto le elezioni è diventato capo del governo, ha fatto giuramento davanti a Lei sulla Costituzione italiana. Lei stesso, quando ha assunto la carica di Presidente della Repubblica, ha fatto giuramento sulla Costituzione italiana. Prima viene la Costituzione, poi i presiedenti della Repubblica e i capi del governo, entrambi transitori.
Da quando è capo del governo, l’onorevole Berlusconi e con lui molti suoi ministri, hanno fatto le affermazioni più inaudite di tutta la storia della Repubblica. Ma questa è la più intollerabile e la più pericolosa. Prelude a qualcosa di oscuro e di losco. Ed è per questo che è Suo dovere intervenire. Perché se Lei tacesse, Lei acconsentirebbe di essere davvero il garante di una costituzione di stampo sovietico, cioè di una Carta bolscevica che come sappiamo fu fondata sui principi di un gruppo rivoluzionario impostosi con la forza su un gruppo sconfitto, principi contrari allo spirito democratico su cui si fonda invece la Repubblica Italiana. Signor Presidente, io sono fiero della Costituzione del mio Paese. Ai nostri padri essa è costata tragedie e sangue. Sentirla svilita da un disinvolto signore di buona ventura che da cantante di crociera ha vinto le elezioni, mi indigna e mi offende. E con me, milioni di italiani. Lei può permettere che ciò avvenga? Circa due anni fa ebbi a scrivere sul quotidiano francese "Le Monde" e contemporaneamente su questo giornale che l’Italia era un Paese alla deriva. Ciò mi costò censure e insulti non solo dai portavoce dell’attuale governo, ma anche da autorevoli rappresentanti dell’opposizione. Posso capire che Lei non possa impedire che l’Italia sia un Paese alla deriva da un punto di vista politico, economico, sociale e civile. Ma Lei deve impedire che l’Italia diventi un Paese alla deriva da un punto di vista istituzionale.
Essere presidente di una Repubblica in un momento difficile della storia di un Paese è un compito gravoso e rischioso. Io voglio essere sicuro che Lei sia all’altezza del compito che il momento richiede. Dica qualcosa.

 

Quella irachena è una guerra contro la Costituzione.
06/03/2005 21:19


Una guerra contro la Costituzione


di Claudio De Fiores

(Dal sito Costituzionalismo.it )


Quella irachena è una guerra contro la Costituzione. Una guerra che vanifica, sprezzantemente, l’istanza pacifista posta tra i principi fondamentali della nostra Carta fondamentale. Gli elementi di violazione della legalità costituzionale sono, infatti, evidenti:


a) L’art.11 della Costituzione italiana recita: “L’Italia ripudia la guerra”. Quando venne redatta tale disposizione, il Costituente (al fine di scongiurare in futuro eventuali ed insidiose “interpretazioni di comodo” della norma) ritenne opportuno manifestare tale rifiuto attraverso l’impiego di parole, il più possibile, incisive e chiare. Fino a preferire, alla poco efficace formula “rinuncia”, il verbo “ripudia” proprio in considerazione del suo “accento energico” che “implica così la condanna come la rinunzia alla guerra” (Intervento dell’on. Meuccio Ruini, Assemblea Costituente, 24 marzo 1947).
Ne deriva, sulla base di tali premesse, che anche l’uso delle basi debba quindi ritenersi costituzionalmente illegittimo se finalizzato a “supportare” una guerra di aggressione. Un ordinamento che rinuncia e condanna tutte le guerre di aggressione non può tollerare, in alcun modo, la concessione delle basi terrestri, il sorvolo dello spazio aereo nazionale, l’impiego di basi navali. Si tratterebbe, in ogni caso, di un sostegno attivo alla guerra.
Il costante richiamo, da parte del governo italiano, all’obbligo di concessione delle basi, che sarebbe sancito in accordi particolari siglati in ambito NATO, è privo di fondamento. Per una ragione innanzitutto: tali intese (palesi o secretate che siano) traggono la loro legittimità dal Trattato della Nato che, all’art. 11, prevede espressamente che tutti gli accordi “saranno applicati dalle parti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali”. Se così non fosse si tratterebbe, allora, di accordi illegittimi.
b) L’art.11 contiene un seconda istanza, funzionalmente, connessa al “ripudio della guerra”: la costruzione, a livello internazionale, di “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Una formula, questa, che il Costituente ha ricavato direttamente dalla Carta dell’ONU, da molti ritenuta la principale fonte di ispirazione dello stesso art. 11 della Costituzione italiana.
Ma anche su questo piano gli elementi di violazione della legalità costituzionale non mancano: la guerra di Bush è una guerra contraria alla Carta dell’ONU e a tutte le norme di “diritto internazionale generalmente riconosciute” alle quali “l’ordinamento giuridico italiano si conforma” (ex art.10 della Costituzione).
La successione degli eventi di queste ultime settimane è stupefacente. Così come stupefacente e senza precedenti è anche la spirale di strappi, sbreghi, rotture della legalità internazionale perpetrati dagli USA. L’amministrazione americana, prima, punta a stravolgere (sotto il profilo materiale) le norme internazionali, tentando di “estorcere” al Consiglio di sicurezza un voto a favore di una guerra che la Carta dell’ONU geneticamente ripudia. Poi, preso atto del fallimento di tale strategia e dell’energica opposizione della Francia (in seno al Consiglio di sicurezza) opta definitivamente per l’azione unilaterale.
Voltate le spalle all’ONU, i governi di Stati Uniti e Inghilterra decidono allora di muover guerra, assumendo quale fonte di legittimazione del loro intervento la risoluzione 1441 (argomentazione, questa, ampiamente ripresa dal Presidente del Consiglio italiano nel corso delle sue comunicazioni al Parlamento). Si tratta, tuttavia, di un’operazione fin troppo scoperta, di un evidente tentativo di mistificazione dei fatti che non regge alla prova del dato giuridico e della storia: il testo della 1441 riguardava esclusivamente i criteri e le modalità di svolgimento delle ispezioni in Iraq. E nient’altro. La risoluzione si limitava, in particolare, a prevedere che una volta consegnati i rapporti da parte degli ispettori, avrebbe dovuto essere il Consiglio di sicurezza a monitorare i risultati e ad adottare le misure ritenute più adeguate al caso. E non l’amministrazione Bush.
A fronte di violazioni così gravi della legalità costituzionale e internazionale trincerarsi dietro gli astratti contorsionismi terminologici del recente passato non è più possibile. In occasione dei conflitti bellici dell’ultimo decennio abbiamo assistito all’impiego delle più stravaganti e controverse locuzioni giuridiche, tutte ostinatamente escogitate al fine di (tentare di) legittimare ciò che il nostro ordinamento costituzionale considera, in ogni caso, illegittimo: la guerra di aggressione. Si è così parlato, con sconcertante disinvoltura, di spedizioni militari fuori della Costituzione (poiché implicanti una fattispecie estranea all’art.11) o anche di operazioni belliche fuori dell’ONU (perché sprovviste di una adeguata copertura giuridica da parte dell’Organizzazione).
La drammaticità del momento impone oggi, a tutti noi, maggiore chiarezza nel linguaggio, nelle parole, nelle scelte. La guerra scatenata dagli USA in Medioriente e appoggiata dal governo italiano non è - sia detto chiaramente - una guerra fuori della Costituzione e fuori dell’ONU, ma una guerra contro la Costituzione e contro l’ONU.

Claudio De Fiores

Un articolo di Luigi Ferrajoli sul Manifesto
06/03/2005 21:11


La Carta stravolta

LUIGI FERRAJOLI


E' cominciata silenziosamente in senato la discussione sul progetto governativo di revisione costituzionale già approvato dalla camera in una prima lettura nello scorso ottobre. Si tratta chiaramente, per le sue dimensioni e per lo stravolgimento progettato, di una nuova costituzione, promossa da una coalizione di forze - Alleanza nazionale, Forza Italia e Lega nord - nessuna delle quali ha partecipato alla formazione della Costituzione attuale. Il senso politico dell'operazione è chiaro.

Ciò che si vuole realizzare è una completa rottura della continuità costituzionale al fine di rifondare la Repubblica sulle forze che alla Costituzione del '48 e alla sua origine antifascista furono estranee od ostili. Proprio perché non si riconosce nella Costituzione vigente, questa nuova destra, oggi maggioritaria in parlamento ma non nel paese, pretende di archiviarla, di varare una sua costituzione a sua immagine e somiglianza, di rompere il vecchio patto di convivenza che non a caso Berlusconi ha squalificato come «sovietico». Di qui una prima domanda: è legittima, sul piano delle forme e del metodo, una simile riforma, non consistente in una semplice «revisione» costituzionale ma nella confezione di una costituzione del tutto diversa, che cambia al tempo stesso la forma di stato, da nazionale a federale, e la forma di governo da parlamentare a para-presidenziale e tendenzialmente monocratica? La risposta è chiaramente negativa. La nostra Costituzione, come del resto la quasi totalità delle costituzioni democratiche, non ammette il varo di una nuova costituzione, neppure a opera di un'ipotetica assemblea costituente eletta con il metodo proporzionale che pur decidesse a larghissima maggioranza. Il solo potere ammesso dal suo articolo 138 è un potere di revisione, che non è un potere costituente ma un potere costituito, il cui esercizio può consistere solo in specifici emendamenti; laddove, se diretto a dar vita a una nuova costituzione, esso si converte in un potere costituente e sovrano, anticostituzionale ed eversivo, in contrasto, oltre che con l'articolo 138, con il primo articolo della Costituzione secondo cui «la sovranità appartiene al popolo» che da nessuno può esserne espropriato.

Ciò cui invece stiamo assistendo è l'approvazione a colpi di maggioranza di un testo che altera l'intero assetto istituzionale, modificando competenze e regole di formazione e funzionamento di tutti gli organi costituzionali: del parlamento e del governo, del presidente della Repubblica e del presidente del consiglio, dello stato e delle regioni. Il precedente della sconsiderata riforma del titolo V varata dall'Ulivo è invocato a sproposito: benché gravemente colpevole, quella riforma fu pur sempre una revisione settoriale della Costituzione che per di più riprodusse, nella sostanza, una modifica che era stata approvata qualche anno prima dai due schieramenti nella bicamerale. L'attuale disegno riscrive invece ben 43 articoli della seconda parte, con gli inevitabili riflessi sulla prima. E' la vecchia idea che Gianfranco Miglio espresse brutalmente dieci anni fa, dopo la prima vittoria elettorale delle destre: la costituzione non è un accordo tra tutti sulle regole del gioco ma è un «patto che i vincitori impongono ai vinti».

Ma questa nuova costituzione è illegittima non solo sul piano del metodo, ma anche su quello dei contenuti, che come stabilì una storica sentenza della Corte costituzionale del 1988 non possono derogare ai «principi supremi» della Costituzione. Non mi soffermo sulla cosiddetta «devolution», che assegnando in maniera esclusiva alle regioni scuola, sanità e funzioni di polizia, rompe l'unità della Repubblica che si basa sull'uguaglianza dei cittadini nei diritti fondamentali, quali sono in particolare i diritti sociali alla salute e all'istruzione.

Neppure mi soffermo sull'incredibile complicazione, quasi un sabotaggio della funzione legislativa, divisa tra ben quattro tipi di fonti - leggi della camera, leggi del senato, leggi bicamerali, leggi del senato con «modifiche essenziali» su iniziativa del governo e, in più, commissioni e comitati paritetici per decidere chi deve legiferare e mediare i conflitti - con l'inevitabile caos istituzionale, le incertezze e gli infiniti contenziosi che proverranno da una ripartizione inevitabilmente astratta e generica delle quattro competenze. L'aspetto più grave di questa riforma, senza confronti né precedenti in nessun sistema democratico, consiste nella demolizione del principio della rappresentanza politica, che è indubbiamente un «principio supremo» sottratto al potere di revisione. Viene anzitutto capovolto il rapporto di fiducia tra parlamento e governo: non sarà più il primo ministro, legittimato direttamente dal voto popolare, che dovrà avere la fiducia del parlamento, ma sarà il parlamento che dovrà avere la fiducia del primo ministro, il quale potrà scioglierlo in forza di un potere affidato non più al presidente della Repubblica ma alla sua «esclusiva responsabilità». E' prevista soltanto la mozione di sfiducia, votata dalla camera per appello nominale, approvata dalla maggioranza assoluta dei suoi componenti e seguita dal suo scioglimento, salvo che sia accompagnata dalla «designazione di un nuovo primo ministro da parte dei deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni, in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della camera». Non solo: «il primo ministro si dimette altresì qualora la mozione di sfiducia sia stata respinta con il voto determinante dei deputati non appartenenti alla
maggioranza espressa dalle elezioni».

Io credo che queste norme anti-ribaltone siano il vero cuore della riforma: il segno inequivoco della svolta che si intende realizzare. Grazie ad esse saranno impossibili le crisi di governo parlamentari. Maggioranza e minoranza vengono blindate, sicché solo i parlamentari della maggioranza avranno un potere di iniziativa politica e di
responsabilizzazione dell'esecutivo, mentre i parlamentari della minoranza non conteranno nulla. E' la fine della rappresentanza «senza vincolo di mandato», sancito quale principio basilare della democrazia politica dall'art.67, essendo ciascun parlamentare vincolato alla coalizione di appartenenza.

Non si tratta di una semplice «riforma». Con questa rigida separazione tra maggioranza e minoranza il parlamento viene di fatto emarginato. Già con il sistema maggioritario è stata abolita l'uguaglianza nel voto dei cittadini. Il nuovo sistema abolisce ora anche l'uguaglianza del voto dei parlamentari ed estromette di fatto l'opposizione da ogni funzione di controllo e di mediazione politica. Non solo. Esso vanifica anche la rappresentatività e la responsabilità politica dei parlamentari della maggioranza, i quali risulteranno vincolati da un rapporto di mandato imperativo, non già dal basso ma dall'alto, nei confronti del primo ministro. Queste norme sono infatti dirette non solo a neutralizzare l'opposizione ma soprattutto a disciplinare, a ricattare e di fatto a neutralizzare ogni potere di controllo della stessa maggioranza parlamentare. Ne risulterà una totale irresponsabilità del primo ministro di fronte al parlamento in favore di un suo rapporto organico, diretto, con l'elettorato.

Si sta insomma progettando la soppressione della democrazia parlamentare e forse della democrazia tout court. Giacché un organo monocratico non accompagnato da un parlamento indipendente non può per sua natura, come insegnava Hans Kelsen settant'anni fa, rappresentare tutto il popolo, che non è un'entità omogenea ma una pluralità di soggetti e di interessi attraversata da conflitti politici e di classe. La democrazia, aggiungeva Kelsen, «è un regime senza capi». E l'idea di un rapporto organico tra un capo e il popolo intero è un'idea rganicistica e populista che contraddice la nozione stessa della democrazia, non diciamo costituzionale ma semplicemente «rappresentativa».

Per questo sarebbe essenziale - prima che lo scempio si compia, prima della seconda lettura del progetto da parte del parlamento - un messaggio motivato del presidente della Repubblica che quanto meno ricordi alle camere i limiti del potere di revisione, il fatto che la Costituzione è un patrimonio di tutti e l'inviolabilità dei principi supremi tra i quali rientrano indubbiamente la rappresentanza politica senza vincolo di mandato e il ruolo di iniziativa, di controllo e mediazione di un libero parlamento. Se c'è un caso in cui l'esercizio del ruolo di garante della costituzione del presidente della Repubblica è doveroso, esso è proprio questo; tanto più che per le leggi di revisione costituzionale ben difficilmente il presidente potrebbe ricorrere al potere di rinvio previsto dall'art.74 prima della promulgazione, la quale fa seguito al referendum confermativo.

Ma ancor più essenziale è l'informazione dell'opinione pubblica e la sua obilitazione intorno al pericolo incombente. Temo che alla base dell'inerzia dell'opposizione ci sia una scarsa consapevolezza intorno alla gravità della posta in gioco e, insieme, il solito timore di «demonizzare» un avversario che si rivela ogni volta peggiore e, oltre tutto, accusa quotidianamente la sinistra di preparare al paese terrore, miseria e morte. E' invece necessario drammatizzare la questione costituzionale proponendola, semplicemente, come emergenza democratica: come la scelta, cui saremo chiamati con il referendum costituzionale tra l'istituzione di un regime e la sopravvivenza della democrazia. Solo così, del resto, il referendum potrà essere vinto: solo se diventerà una grande battaglia di principio, non inquinata da proposte di compromesso, consapevole della posta in gioco e dei guasti già prodotti dall'avventura berlusconiana, capace di rifondare, nel senso comune, il valore della Costituzione repubblicana quale fondamento della nostra democrazia.

Appello: comitati per il "NO" nel referendum costituzionale
06/03/2005 21:07


APPELLO PER LA PROMOZIONE IN TUTTA ITALIA DEI

COMITATI PER IL "NO" NEL REFERENDUM

COSTITUZIONALE


Dopo un lungo attacco al diritto, alla giustizia e alla libertà d'informazione una maggioranza estranea alla storia, alla cultura ed ai valori della Resistenza, sta per portare a termine l'attacco finale alla Costituzione italiana.

Il disegno di riforma della II parte della Costituzione già approvato alla Camera dalla coalizione di governo, è un progetto eversivo che - ove attuato - porterà alla demolizione delle strutture del pluralismo, della eguaglianza, della libertà e della partecipazione, che costituiscono gli assi portanti dell'intero edificio costituzionale.

I diritti e le libertà solennemente sanciti dalla prima parte della Costituzione hanno ricevuto solidità e saldezza con gli istituti attraverso i quali è stata organizzata la rappresentanza e sono stati distribuiti, bilanciati e divisi i poteri. Spogliati di tali istituti, attraverso la demolizione dell'architettura della parte II della Costituzione, i diritti e le libertà appassiscono, cessano di essere garantiti a tutti e perdono il vincolo dell'inviolabilità.

La Costituzione è la casa comune che ha consentito al popolo italiano negli ultimi cinquant'anni di affrontare le tempeste della Storia, salvaguardando, nell'essenziale, la pace, la libertà, i diritti fondamentali degli individui e quelli delle comunità. Essa ha contribuito a formare l'identità nazionale, per cui oggi non è possibile pensare al popolo italiano separato dai suoi istituti di libertà, dal grande pluralismo dei corpi sociali, dalla distribuzione dei poteri, dalla partecipazione popolare, dalla passione per il bene pubblico.

La riforma della Costituzione colpisce l'identità stessa del popolo italiano come comunità politica, distruggendo quell'ordinamento attraverso il quale si sostanzia la democrazia e si garantisce il rispetto della dignità umana alle generazioni future.

In questo modo, demolendo le istituzioni della democrazia, si disfa l'Italia, trasformando il popolo italiano in un aggregato di individui in perenne competizione tra loro.

La riforma proposta sovverte gli stessi cardini dello Stato di diritto. Essa attenta all'unità nazionale, compromette l'universalità e l'eguaglianza dei diritti istituzionalizzando il divario tra regioni e comuni poveri e regioni e comuni ricchi, istituisce, con un Premier dotato di tutti i poteri compreso quello di sciogliere a suo piacimento la Camera, un governo personale, un re elettivo, estraneo ai principi del costituzionalismo moderno, delegittima e disarma il Parlamento, spoglia delle sue responsabilità di garanzia il Presidente della Repubblica, e infirma le funzioni degli altri organi dello Stato, a cominciare dalla Corte Costituzionale.

Se la riforma dovesse passare, il frutto della Resistenza sarebbe cancellato ed il suo patrimonio disperso per sempre.

Lo scontro politico che si articolerà attraverso il Referendum è l'ultima occasione per salvare i beni pubblici che i costituenti hanno donato al popolo italiano, facendo tesoro delle dure lezioni della storia.

Come tale esso è cruciale per il destino del nostro Paese, com'è stata la Resistenza.

Oggi, come allora, è necessario ritrovare lo stesso spirito, la stessa coscienza di un dovere civile da adempiere: sconfiggere il progetto di demolizione della Costituzione attraverso il referendum per ricostruire il primato della convivenza civile orientata al perseguimento del bene comune, fondamento morale senza il quale non può vivere una democrazia.

Chiediamo che, prima ancora che questo progetto sia trasformato in legge, si organizzi la mobilitazione popolare e si costruiscano, in ogni comune, in ogni quartiere, in ogni caseggiato i "Comitati per il no nel referendum costituzionale".

Incontriamoci per promuovere la costituzione dei comitati a Roma mercoledì 27 ottobre, alle ore 17, in Via dei Frentani 4 b, ospiti della CGIL.

Luigi Ferrajoli Domenico Gallo Raniero La Valle Gianni Ferrara Antonia Sani Umberto Allegretti Giulietto Chiesa Lidia Menapace Gianni Palombarini Fabio Marcelli Ambretta Rampelli Pasquale Colella Livio Pepino, Aldo Tortorella presidente dell'Associazione per il rinnovamento della sinistra, Giovanni Franzoni, Maurizio Serofilli e Alessandro Baldini per i Comitati Dossetti, Franco Russo Salvatore Scaglione per Megachip, Antonella Paloscia, Associazione nazionale giuristi democratici, Associazione giuristi democratici di Roma, Pasquale Vilardo, Desi Bruno portavoce dell'Associazione nazionale giuristi democratici di Bologna, Network Telestreet, Orfeotv, Marco Baleani Carlo Guglielmi Anna Marchi Giorgio Narra Emilia Gavazzi Fabrizio Amato Attilio Santi Raffaele Miraglia Arturo Salerni Mario Angelelli, Progetto Diritti onlus, Maria Matilde Bidetti Pino Salmè Antonio Castronovi segretario della CGIL di Roma, Francesco Cassano Riccardo Toniolo Vincenzo Andreucci presidente di sezione del Tribunale di Pesaro, Il Tetto, Vasti, Claudio Fracassi Sergio Marini Albino Longhi Umberto Andalini Raul Mordenti, Nella Ginatempo, Piero Chimienti (editore), Selmi Daniele, Pier Francesco Rocci, Laura Leonzino, Franco Ippolito, Pietro Campoli, Claudio De Fiores, Mario Santostasi Comitato di Redazione della Rivista del Manifesto, Franco Festa, Maurizio Acerbo, Segr. Regionale PRC Abruzzo, Giancarla Codrignani, Alessandro Corrieri, Cons. comunale Prc Sesto Fiorentino

Per adesioni, sia personali che di gruppi e associazioni, inviare un messaggio specificando nome, cognome (o denominazione) e indirizzo di posta elettronica (o, in mancanza, postale).

Scalfaro: salviamo la Costituzione, bene di tutti
06/03/2005 14:50


“La Costituzione, patrimonio per tutti”

 

Relazione tenuta dal presidente Oscar Luigi Scalfaro presso la parrocchia di S. Giovanni in Laterano di Milano, il 18 Gennaio ‘05

 

Revisione o involuzione?

 

Viviamo momenti delicati, è in corso una grande lavoro per modificare la seconda parte della Costituzione. Quando si fa una legge di revisione costituzionale, così importante, destinata a vivere a lungo è bene rileggere l’articolo 138 dedicato alla revisione della Costituzione. Lo cito all’inizio perché è importante capire  se ciò che ci troviamo a discutere è una revisione o un’involuzione.  Se dico di rivedere la mia casa, ci si aspetta di vedere delle manutenzioni: una nuova verniciatura, un nuovo tramezzo, una finestra nuova. Se invece demolisco la casa per costruirne un’altra il concetto di “revisione” non può essere usato perché siamo di fronte ad una demolizione.

 

Tre pagine di storia indissolubili

 

Ci sono tre pagine di storia, tre momenti, che persone della mia generazione hanno vissuto e i giovani studiato. Tre momenti legati tra loro in modo indissolubile: il no alla dittatura fascista, la lotta di liberazione o “Resistenza”, la Costituzione.

 

No al fascismo

 

Chi reagì all’inizio della dittatura ? Pochi. La dittatura è nata come un fenomeno democratico, non è nata come dittatura. A scuola si studiava che il fascismo era nato con la marcia su Roma. Nella visione giuridica, costituzionale, la marcia su Roma non esiste perché non è entità giuridica. E’ un fatto che è stato preceduto da atti, azione violente che hanno determinato una pressione sul Re che, in quei momenti, doveva decidere. Ci sono state persone che hanno detto subito “no” al fascismo. Conosco colleghi che hanno accumulato decine di anni in carcere, altre che scelsero la strada dell’esilio all’estero. E’ sempre una minoranza che è disponibile a giocare il tutto. Non si può pretenderlo da tutti. La Chiesa ha fatto l’elenco dei martiri. Sono così tanti, che non si conoscono più i nomi, ma la Chiesa non ha fatto l’elenco di chi ha bruciato l’incenso all’imperatore, che sono certamente più numerosi dei martiri. Si è bruciato l’incenso all’imperatore  perché si doveva portare a casa il pane per i figli, perché si aveva una famiglia sulle spalle. La Chiesa  predica le figure dell’eroismo, le insegna, ma non lo pretende perché è maestra e madre. Fa presente, poi chiede la grazia a Dio. Nel momento della prova se una persona non riesce, la Chiesa non la mette sul banco degli imputati proprio in virtù dell’essere madre.

 

Lotta di liberazione

 

Dopo l’8 Settembre ’43, momento più tragico per il Paese, è iniziata la lotta armata di liberazione: chi in montagna, chi in città, chi nel rischio. Certe persone hanno rischiato totalmente pagando con la vita. Altri hanno rischiato e, in qualche modo, hanno salvato la vita. Questa è una pagina da non dimenticare: è un fatto! Ci sono spinte, chiamate culturali, le quali  sostengono che la storia sia diversa, non da come è raccontata, ma da come l’abbiamo vissuta. Non c’è mestiere peggiore che cercare di cambiare un fatto! All’esame di avvocatura il presidente del tribunale disse che il fatto è sacro, nemmeno Dio può cambiarlo da come si è verificato! C’è stato un mondo che ha sacrificato la vita per la libertà. Noi credenti diciamo che la libertà ci è stata donata da Dio creandoci. Questo è vero come il fatto che sono gli  uomini che possono toglierla. Se nasce una dittatura è perché è stata tolta la libertà. Altri uomini, sacrificando la propria vita, l’hanno riconquistata. Da quel no alla dittatura fascista è nata la Repubblica, poi la Costituzione.

 

La Carta di tutti

 

L’Italia era un popolo che aveva bisogno di sapere chi era e riscoprire la propria identità. Lo Statuto albertino non era stato revocato ma, come capita con le revoche di fatto, cadendo la dittatura caddero tutte le istituzioni della dittatura stessa. C’era un popolo che non aveva più nulla, compresa la legge dominante per la sua convivenza nella serenità, giustizia, pace con se stesso e con altri popoli. Questo il motivo per cui nacque l’Assemblea costituente. Non fu una scelta, ma un obbligo! O una scelta dovuta ad una realtà di fatto. Bisognava che questo popolo scrivesse delle norme che servissero alla vita normale. Il 2 Giugno ’46 si votò per scegliere tra Repubblica e Monarchia e per la Carta costituzionale. Furono eletti nel Parlamento 555 deputati. Il 1 Gennaio ’48 andò in vigore la Carta costituzionale votata con una maggioranza straordinaria, solo 62 deputati non la votarono. Questo schieramento enorme fu importante e fondamentale. Solo quella amplissima votazione poteva dare la tranquillità ad ogni cittadino di sentirsi interpretato e coinvolto da quella legge. Alla costituente un fatto mi colpì in particolar modo. I diversi gruppi politici e culturali, a volte in netta contrapposizione tra loro, quando si trattava di scrivere la Costituzione le contrapposizioni, a volte sanguigne, sparivano. Un fatto che mi colpì molto perché le spiegazioni erano molte: la comune avversione al fascismo, la condivisa tensione politica in nome della quale nessuno voleva essere tagliato fuori, etc. La mia impressione di allora fu che, insieme a queste ragioni, ce ne fosse una che fu alla base di questa capacità di scrivere insieme: la “comune sofferenza”. Una sofferenza patita in modi diversi ma insieme. Questo patrimonio umano di sofferenza preparò il denominatore comune per la scrittura della Costituzione. Come se la sofferenza aiutò a saper fare qualcosa per gli altri.

 

Al centro la persona

 

Un rapido sguardo agli 11 articoli o principi fondamentali della Costituzione. Per l’esattezza sono 12, personalmente escludo il 12° che si riferisce alla bandiera della nazione. La bandiera non è una norma, un principio, è il simbolo di tutti i principi. Parto dai principi perché vengono toccati dalla riforma. Il primo articolo dice che : “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro..”. Subito esprime una definizione universale, come punto centrale della Costituzione italiana,  qual è la “persona” umana. Qui scende la mannaia che divide un pensiero dittatoriale da uno democratico. Nella dittatura la persona diventa una cosa. All’Assemblea costituente l’Ac mandò molti giovani parlamentari nella Dc. L’Ac. , in un certo senso, si era svenata per mandare i suoi iscritti in prima linea a battagliare. E’ un richiamo non piccolo per un mondo cattolico che oggi sta a guardare, è alquanto impegnato a guardare. Nel passato ci insegnarono che guardare è bene, ma dal di dentro, pagando di persona perché non solo è meglio, ma è un dovere. E’ dovere di ogni cittadino interessarsi alla vita pubblica. Se questo cittadino è anche cristiano, dice di essere cattolico, non ha un diritto in più. Ma è la pesantezza, la sostanza del diritto dovere che muta. La certezza che deve rispondere innanzitutto a Dio e certamente alla sua coscienza, alle leggi, non c’è dubbio. Sono stato magistrato, ho la mentalità di magistrato, guai se dovessi affermare che non sono tenuto all’obbedienza delle leggi, salvo nel caso che la legge mi imponga ciò che è in contrasto netto con i principi generali della morale. In questo caso sono tenuto a ribellarmi. Ci sono principi fondamentali del diritto delle genti da osservare. La persona è al centro e nella democrazia è esaltata nei suoi diritti, nella sua dignità. Qui c’è il punto splendido di che cosa è, o cosa dovrebbe essere, la politica. E’ importante che siano scritti i diritti affinché ogni cittadino può protestare per il fatto che quel diritto scritto gli è stato negato. Anche l’adempimento del dovere è fondamentale! E’ indispensabilità per tutti interessarsi della cosa pubblica . Senza la comunità non si sta al mondo. La persona umana, il cittadino, senza comunità non vive. Se mi limito al rispetto dei miei doveri scritti ( voto, pagare le tasse ) questo non basta. Senza dare dell’altro il cittadino, umanamente parlando, muore. Cosa do alla comunità della capacità di pensare, di volere, di amare, di sacrificio e di intelligenza ? Questo non è un tema solo per i cattolici, ma per chi è cittadino “civis romanum sum”.

 

Riforma farisaica!

 

L’articolo uno, dopo avere presentato il lavoro come elemento qualificante dell’intelligenza, volontà e dignità, dice che “la sovranità appartiene al popolo ”. Quando ero al Colle, l’attuale presidente del Consiglio mi disse che era inutile parlare tanto della centralità del Parlamento perché la sovranità apparteneva al popolo, come scritto in Costituzione. Dissi di rileggere tutto l’articolo perché precisa che tale sovranità viene esercitata “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Le leggi, le costituzioni, non vanno lette a fette, non sono degli affettati giuridici. Non è possibile vedere solo le fette che ci possono riguardare e tralasciare quelle che non ci riguardano lasciandole sul piatto di altri. La “sovranità appartiene al popolo”, io appartengo al popolo, sono un pezzo piccolo di questa sovranità. Ho un tassello di questo mosaico enorme di questa sovranità. Come uso questo tassello? Oggi con il voto eleggo un deputato e un senatore. La riforma costituzionale porta la politica ad una sola camera. Questo non sarebbe cosa dannosa. Con le attuali votazioni voto una persona che ha una serie di poteri: elegge il Capo dello Stato, in funzione di un’elezione parlamentare con maggioranza assoluta, presenti le Regioni. Cioè il deputato elegge colui che mette al mondo il Governo, che da la fiducia o la sfiducia. La riforma costituzionale prevede che il presidente del Consiglio sia scelto dalle elezioni ( come avviene attualmente ) dando l’indice di preferenza per un candidato. Questi nomina i ministri, non più il Capo dello Stato ( arti. 92 della Costituzione ).Un tema che non ritengo essenziale, il Sindaco di una città nomina i suoi assessori, collaboratori. Dopo la nomina dei ministri, nella riforma si prevede che il capo del Consiglio si presenta in Parlamento ed espone il programma di Governo, ma non chiede la fiducia, o meglio “ non è obbligato” a chiederla. Ciò che è grave è che il Parlamento non è tenuto a dare la fiducia al capo del Governo, non ha più i poteri di dargli la fiducia. Per dirla tutta la riforma usa delle formule che definisco “farisaiche”. Si legge una formulazione che, nella mia vita giuridica, non ho  mai sentito e recita così: “ dopo aver ascoltato il programma del capo del Governo, la Camera dei deputati si esprime con un voto sul programma”. Oggi la Costituzione dice che la Camera vota la fiducia ( artic.94 della Costituzione ). Altra formula di trionfo farisaico dice che il Capo dello Stato decreta lo scioglimento della Camera dei deputati e indice le elezioni. Sin qui tutto è come è attualmente, ma nella casistica dei casi di scioglimento, previsti nella riforma, proprio nel primo caso contemplato si legge che il Capo dello Stato scioglie il Parlamento: “su richiesta del primo ministro, che ne assume l’esclusiva responsabilità”. Siamo di fronte ad una richiesta che, in realtà, è un diktat. Se il primo ministro dispone lo scioglimento, mi chiedo perché il Capo dello Stato deve firmare uno scioglimento al quale non ha partecipato a nulla? E’ una ferita gravissima! Se passa questa riforma significa che voteremo un parlamentare, rappresentante del popolo, che non solo non avrà più i poteri di oggi, ma che avrà sopra la sua testa la  spada di Damocle di essere mandato a casa per decisione del presidente del Consiglio, cioè dal capo dell’Esecutivo, che dovrebbe discendere dal potere parlamentare e legislativo. 

 

La legge è uguale per tutti

 

Abbiamo avuto una serie di leggi per Caio, Tizio e Sempronio. Sin dalle elementari ci spiegavano che la legge è una disposizione che vale per tutto il popolo. Se c’è una legge per i pompieri riguarda loro, ma deve essere scritta in modo tale che non danneggi il diritto di nessuno, così c’è armonia. Quando si fa una legge solo perché Tizio non sia processato, siamo di fronte ad una gravissima patologia. Si è fatta una norma che diceva che i cinque vertici dello Stato ( Presidente della Repubblica, di Camera e Senato, del Consiglio e della Corte costituzionale ), qualora avessero dei processi pendenti, dovrebbero essere sospesi per il periodo del loro mandato. C’è stata polemica alla quale ho partecipato. Guardando alla realtà, in questo caso su cinque persone solo una aveva bisogno della sospensione, gli altri quattro sono stati aggiunti perché la solitudine è sempre cosa non piacevole. La Corte costituzionale successivamente ha emesso una sentenza che ha giudicato tale norma incostituzionale e, quindi, sono morte decadute. Incostituzionali perché l’articolo 3  della Costituzione fa un’affermazione scritta in tutte le costituzioni del mondo, anche dove non è applicata, cioè che la legge è uguale per tutti. Nessuno ha il coraggio di dire che la legge non è uguale per tutti. La legge è sempre uguale per tutti! L’articolo 3 non solo afferma che “Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”, dice qualcosa in più, che hanno “pari dignità sociale”: il facchino, lo scienziato, il presidente della cassazione, l’uomo e la donna, colui che è imputato, etc., tutti hanno parità e dignità sociale. Sono principi impressionanti e, se applicati, dicono che la Costituzione è per tutti. Abbiamo visto come è iniziato il nuovo anno giudiziario. In tutte le Corti di Appello i magistrati non hanno voluto partecipare indossando la toga nera, o manifestando con la Costituzione in mano. Non è un tema  che si possa vedere ad occhi chiusi: è il malessere. Quando c’è un’insoddisfazione così unanime perché non fermarsi un momento a riflettere? Il ministro della Giustizia a Palermo ha dichiarato di essere aperto alla discussione. Essere aperti alla discussione non significa discutere su una decisione già presa. Questo significa prendere o lasciare. Quando, attorno ad un tavolo, si discusse all’Assemblea costituente, prima di affermare come era un articolo, tutti partivano da zero. Ognuno discuteva su tutto, dallo sforzo di tutti nasceva la norma, l’articolo.

 

Rompere il  silenzio con la verità

 

Nella procedura di revisione costituzionale, già votata al Senato e alla Camera, noi abbiamo già una parte di testo che non è discutibile in quanto ha già avuto la doppia votazione. In note trasmissione televisive, con noti giornalisti, si  discute di tutto tranne che della riforma costituzionale, che tocca tutti i cittadini. Non c’è stato un quotidiano che abbia sollevato la discussione o espresso pareri in merito. Tutto questo alla vigilia di probabili votazioni finali. Il mio terrore è che si vada al “referendum” con tante persone, cittadini, che non sanno cosa andranno a votare. La Costituzione è un tema che interessa tutti, che non può essere affrontato a colpi di slogans. Bisogna affrontarlo con umiltà, senza aggredire nessuno, ma senza cedere mai. Sui principi la strada del gettare la spugna non esiste! Al Senato dissi che con questa riforma il Capo dello Stato era in canottiera perché gli aveva tolto i poteri, ma in realtà avrei dovuto dire che era a dorso nudo. Chi è e chi fa il garante? Come norma costituzionale è il Capo dello Stato. Quando mi fu chiesto ciò che non potevo fare, dissi che avevo giurato sulla Costituzione. L’attuale presidente del Governo, quando si presentò sfiduciato dall’on. Bossi, mi chiese tre cose: lo scioglimento del Parlamento, le elezioni, ed elezioni con il suo Governo. L’ho citato molte volte, gli risposi con tre no! La vita mi insegna che quando si accettano discussioni sui temi indiscutibili, perché vincolati da un giuramento, si infilano i piedi in una tagliola. Poiché sui principi nessuno è proprietario, dissi tre no! Se avessi detto di si avrei fatto un passo contro la Costituzione mettendomi sul banco degli imputati con l’accusa di alto tradimento alla Patria. Mi pare giusto testimoniare la verità. Non c’è stato un quotidiano che abbia sollevato la discussione o espresso pareri in merito. Tutto questo alla vigilia di probabili votazioni finali. Non c’è nulla di più falso nel dire che la politica costringe a mentire, a non dire il vero. Nella mia vita non mi sono mai trovato a mentire, se avessi detto una cosa non vera l’avrei detta io, per miseria e imbecillità mia, per disonestà mia, non perché la politica costringe alla menzogna. Se una persona ha spina dorsale, igiene mentale e intellettuale, non esiste nessuna attività che la costringe alla menzogna.

Il vero garante: il cittadino!

 

Il garante è il Capo dello Stato, il Parlamento, il Governo, la Corte di Cassazione. Ma chi è il vero garante ? Mi permetto di dire che il vero garante è il cittadino. E’ il cittadino se crede nella Costituzione, nel dovere del cittadino di fronte alla comunità della quale ha l’onore di farne parte. Il vero garante è il cittadino. Lo è maggiormente se è chiamato ad un referendum perché è l’unico caso, nella nostra Costituzione, in cui si esercita la democrazia diretta. Significa che è il popolo che dice ai suoi rappresentanti di fermarsi perché è il cittadino che deve decidere. Di fronte a questi impegni ognuno deve sentire l’enorme responsabilità che ha per oggi, per il domani. Ci sono state persone che hanno pagato con la vita questa Carta costituzionale, non dimentichiamo quella pagina nel momento in cui troviamo, una riforma che capovolge la Costituzione, un Parlamento mortificato e “tutti” i poteri concentrati in un’unica persona. Questi peccati nella storia sono già avvenuti, non è il caso di ripeterli.

 

 

( testo rivisto da Silvio Mengotto )

Un articolo di Nando Dalla Chiesa su l'Unità
06/03/2005 12:01


Ciampi e i demolitori della Costituzione
di Nando Dalla Chiesa

Achtung. Il fuoco cova sotto la cenere. E mica poco. Mentre l'attenzione vola giustamente verso altre e ben più disgraziate aree del pianeta, il messaggio di Ciampi alle Camere si appresta a diventare una clamorosa occasione di scontro per rimodellare i rapporti tra Parlamento e Presidenza della Repubblica. Ossia per modificare abusivamente la Costituzione e le relazioni tra gli organi dello Stato. Per allargare, volendo usare una espressione che piace da matti al ministro Castelli, il fossato tra “Costituzione vigente” e “Costituzione vivente”. E sarà bene se l'opposizione arriverà a questo appuntamento avendone compreso in pieno, e in anticipo, il significato e la portata; senza credere troppo ai fine d'anno alla melassa dipinti dalle cronache dell'ennesimo rimpasto governativo.
Che cosa abbia scritto Ciampi nel suo messaggio è arcinoto. La legge che riforma l'ordinamento giudiziario è palesemente incostituzionale su quattro punti, dalle invasioni di campo del ministro della Giustizia allo svuotamento di funzioni del Consiglio superiore della magistratura. In più il modo di legiferare adottato configura anch'esso una violazione della Costituzione. Nel complesso la riforma infrange non un singolo comma, ma ben sei articoli della Costituzione. Cinque del Titolo IV: 101 (i giudici sono soggetti soltanto alla legge); 104 (la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere - corsivo mio); 105 (funzioni del Consiglio superiore della magistratura); 110 (compiti del ministro della Giustizia); 112 (obbligatorietà dell'azione penale). Cinque articoli su tredici, ossia quasi la metà dell'intera parte che la Costituzione riserva alla giustizia. Più l'articolo 72 sulla formazione delle leggi. Il messaggio demolisce insomma l'ispirazione generale della nuova normativa. Anche perché, come è risaputo, esso non può che indicare i punti di palese incostituzionalità, visto che su quelli che richiedono una valutazione più accurata la Costituzione rinvia al successivo esame della Corte Costituzionale. È per questo che quando il presidente scrive nel suo messaggio, con responsabile neutralità lessicale, che la norma rappresenta un atto “di grande rilievo costituzionale”, non sembra tanto volersi profondere in complimenti verso il legislatore quanto metterlo in guardia circa la portata devastante dell'atto stesso verso la Carta repubblicana.
Ebbene, che cosa sta accadendo in vista del nuovo passaggio parlamentare della legge? Sono in corso grandi, grandissime manovre. E stavolta è il Quirinale, la massima istituzione di garanzia, a trovarsi nel mirino della strategia offensiva della maggioranza. Quanto al modo di legiferare ci ha già pensato il quotidiano della famiglia Berlusconi: tirando in ballo il Ciampi di governo per dirgli che è lui il precedente illustre nella stirpe dei legislatori incostituzionali. Nessun precedente tiene il paragone con gli usi e costumi attuali, naturalmente. Ma l'importante, come sappiamo, è andare all'attacco.
Quanto alla controffensiva sui contenuti, invece, abbiamo avuto alcuni assaggi consistenti. Anzitutto le reazioni di pancia al momento della lettura del messaggio in aula, prima di Natale. In Senato dai banchi di Lega e Forza Italia si sono levati fischi e urla, ed è risuonata più volte, con riferimento al messaggio, la domanda “chi l'ha scritto?”. Il presidente eletto da tutti, dunque, è stato trattato come il suo predecessore Scalfaro (ossia con schiamazzi e improperi) appena ha richiamato il governo alla Carta alla quale ha prestato giuramento. Poi sono arrivati i toni compunti del giorno dopo. Sotto la forma rispettosa, però, si annidava la sottile insolenza di chi giurava che si trattasse di quisquilie. Ossia: il capo dello Stato usa lo strumento eccezionale del messaggio per parlarci di cose di poco conto. Il tutto condito dai rimproveri di Berlusconi ai suoi “cretini” che fanno le leggi (ci sta anche questo nel rapporto padronale, evidentemente).
E ora, ora dopo i due giorni postnatalizi in cui il Senato è stato investito, in commissione giustizia, della decisione se rivedere l'impianto della legge o andare a una semplice correzione chirurgica, che cosa si annuncia per il caldo, bollente gennaio parlamentare? Si annuncia un attacco a Ciampi su tutta la linea. Con sapiente (e in parte spontanea) divisione dei compiti. Gli atti parlamentari parlano chiari, anche se il resoconto sintetico non si fa carico - per sua natura - di tutte le espressioni verbali effettivamente pronunciate, che ho trascritto nei miei appunti. Anzitutto si contesta la legittimità costituzionale dello stesso messaggio, il cui senso viene dunque rispedito al mittente. Perché esso esprimerebbe - in forma più spiccia secondo alcuni, più paludata secondo altri - l'esistenza di una “quarta Camera” (qual è la terza, volete sapere? nel linguaggio della maggioranza sarebbe il Csm), costituita dall'asse Presidenza della Repubblica-Corte Costituzionale. Questa quarta Camera, agendo con perfetta sintonia delle sue due componenti, innesca ormai un “cortocircuito istituzionale” con caratteristiche di recidività, “menomando la capacità legislativa del Parlamento”. Insomma la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale, attraverso questa attività aggressiva verso il Parlamento, rappresentano esse i veri colpevoli di una violazione della Costituzione e della sovranità popolare. Esse sono la fonte del sopruso. Non il parlamento, non la maggioranza, non il partito di proprietà del premier (con “cretini” annessi) confiscano prerogative costituzionali alla magistratura, al Csm, alla Corte, alla Presidenza della Repubblica. Ma Corte e Capo dello Stato confiscano le prerogative del parlamento. Questa sarà la partita di gennaio. La cui portata - si può dire, almeno tecnicamente? - eversiva sarà addolcita da due tesi anch'esse espresse con una certa organicità nel dibattito della commissione giustizia.
Tesi numero uno. In realtà noi non ce l'abbiamo con Ciampi. Ce l'abbiamo con la magistratura. Meglio, con quei suoi esponenti che hanno scritto il messaggio, prendendo Ciampi in contropiede mentre era in viaggio in Cina. I consulenti, gli uffici del Quirinale: sempre loro, i magistrati (come se non fossero magistrati quelli che hanno scritto la legge...). Loro che si sono cucinati pure il capo dello Stato, ridotto a macchietta subornata o ingannata, quasi una riedizione di re Sciaboletta, che parla di competizione e di investimenti dalla Cina mentre a Roma i suoi uffici mandano alla Camere dei messaggi il cui merito gli sfugge. Tanto che, si argomenta, anche il rilievo sull'articolo 110 (i limiti all'azione del ministro) è infondato in punto di diritto costituzionale.
Tesi numero due. Il messaggio parla di pinzillacchere. L'impianto della legge ha tenuto, si tratta solo di pochi punti. Anzi, ha affermato testualmente il ministro Castelli, “il quarto punto è quello realmente importante”. Gli altri, si dovrebbe dedurre, no; non sono “realmente importanti”, forse sono bagattelle, certo roba che si tira giù con un colpo di penna o si sostituisce con qualche frase ben costruita. Tanto è vero, dice sempre il ministro, che la norma contestata nel secondo punto del messaggio, quella che istituisce il monitoraggio sui processi (con larvata finalità punitiva verso le procure indisponenti), egli lo ha già tradotto in pratica, lo fa già. E allora il massimo che ci vuole è un bell'intervento circoscritto, di precisione. Ma può mai essere così quando lo stesso ministro si lascia scappare con orgoglio che il merito principale di questa legge è di essere stata fatta “contro il parere della magistratura”? Non di avere abbattuto questo privilegio, non di avere sconfitto quel pregiudizio borbonico; ma di essere stata fatta nel suo insieme “contro il parere della magistratura”, la quale per anni non ha fatto altro che appellarsi alla Costituzione?
Ecco perché si apre una fase cruciale per i nostri equilibri istituzionali. Perché la posta è se si deve dare il via libera nei fatti a una nuova “Costituzione vivente”. E se in questo paese tutte le autorità di garanzia, anche le più alte, le più simboliche, debbano essere - ed essere trattate - come il prossimo Antitrust. E scusate se è poco.

Intervista a Franco Bassanini
06/03/2005 11:59


«La Costituzione va difesa anche in piazza»
di Simone Collini

 ROMA Riprende oggi al Senato l’iter della riforma costituzionale. Mentre in aula si comincia a votare il testo contenente premierato assoluto e devolution, davanti a Palazzo Madama si svolgerà una manifestazione di protesta organizzata dal Coordinamento nazionale per la difesa della Costituzione, di cui fanno parte Astrid, Libertà e Giustizia, Cgil, Cisl e Uil, molte grandi associazioni come l’Arci, le Acli, l’Anpi e tante altre. «È l’ampiezza di questo schieramento che ci rende fiduciosi della possibilità di fermare questa sciagurata iniziativa», spiega Franco Bassanini, senatore Ds e presidente dell’associazione di studi sulle riforme istituzionali Astrid.
Senatore Bassanini, la Casa delle libertà non ha aspettato neanche che finisse la discussione in commissione e ha portato il disegno di legge in aula. Come giudica questa accelerazione?
«Ormai è evidente che la maggioranza non solo ha deciso di andare fino in fondo ma, succube dell’ennesimo ultimatum di Bossi, ha blindato il testo approvato questo autunno dalla Camera».
Come ci sono riusciti?
«In commissione, prima hanno respinto in blocco tutti gli emendamenti dell’opposizione, persino quelli che contenevano correzioni tecniche e direi incontestabilmente necessarie. Poi, dopo poche sedute, hanno troncato il confronto e deciso di contingentare i tempi. Il che dimostra che la maggioranza non intende né confrontarsi con l’opposizione, né avere un reale dibattito al suo interno».
Qual è il loro obiettivo?
«Tutto fa pensare che sia vero quanto riferito da varie fonti, e cioè che Bossi ha posto come condizione per la tenuta e la sopravvivenza della maggioranza che il Senato concluda l’esame della riforma prima delle regionali, e concluda approvando il testo varato dalla Camera senza alcuna modifica. Se riescono a blindare il testo, le altre due letture necessarie saranno fulminee, perché i regolamenti parlamentari prescrivono che si dia un solo voto sul testo complessivo, senza più la possibilità di presentare né discutere emendamenti. E questo sarebbe particolarmente grave. Non solo perché questa riforma contiene scelte che scardinano il nostro impianto costituzioanle e che ci porterebbero fuori dalla categoria dei paesi democratici, ma anche perché questo testo contiene dei veri e propri errori tecnici che renderebbero ingovernabile il Paese».
All’ultima iniziativa davanti al Senato, organizzata la scorsa settimana dai Girotondi contro la cosiddetta «salva-Previti», c’erano un centinaio di persone. Non siete preoccupati di dar vita a un’iniziativa sotto tono?
«È chiaro che la stagione non è delle migliori, anche viste le condizioni atmosferiche. Però, al di là del risultato numerico della manifestazione, è necessario mantenere viva l’attenzione su questo tema, anche perché manca su questo punto l’informazione dei grandi mezzi. Quella davanti al Senato, comunque, non è un’iniziativa isolata. In questi mesi abbiamo girato l’Italia per incontri dedicati alla questione, e continueremo a farlo. Soprattutto Scalfaro, che è il presidente del coordinamento nazionale, io e Sandra Bonsanti ci siamo ritrovati in serate in cui non bastavano i posti a sedere. Questo vuol dire che nel paese c’è un grande interesse su questo tema, e al tempo stesso una scarsa consapevolezza di quanto sta avvenendo. La maggior parte delle reazioni dei partecipanti sono di stupore, ci chiedono come sia possibile che non siano stati informati dei cambiamenti che porterà questa riforma se approvata definitivamente».
Quali sono le questioni che preoccupano di più?
«Intanto, il fatto che sia messo a rischio lo stesso principio democratico. La Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo. In questa riforma il popolo è sovrano un giorno ogni cinque anni, quando elegge il primo ministro e gli trasferisce pieni poteri. C’è poi il completo annullamento del ruolo del Parlamento, perché il premier, con la minaccia dello scioglimento della Camera, può farsi approvare praticamente tutto quello che vuole. A preoccupare è anche la devolution, che scardina l’unità del paese attribuendo competenze legislative esclusive alle Regioni in settori importanti come la sanità, l’istruzione, la polizia locale e che spaccando il paese, dividendolo in regioni ricche e regioni svantaggiate, viola l’articolo 2 della Costituzione, che sancisce i doveri inderogabili di solidarietà. La riforma porterebbe poi all’indebolimento di quasi tutti gli organi di garanzia. Il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale diventerebbero organi della maggioranza e il principio della divisione dei poteri sarebbe fortemente minacciato. Questo i cittadini lo devono sapere».

Alcune idee sulla nostra Costituzione
06/03/2005 11:37


Le idee cardine

della Costituzione italiana

 di Norberto Bobbio

 

Il testo qui proposto è stato scritto dall'autore come introduzione allo studio della Costituzione Italiana per un testo scolastico, in adozione negli anni 1980.

Bobbio mostra come la nostra Costituzione sia la risultante, nei suoi principi ispiratori, di quattro "idee cardinali" maturate nella cultura giuridica della vecchia Europa.

 

A. L'idea liberale

L'idea fondamentale del liberalismo è che l'individuo ha un valore assoluto, indipendentemente dalla società e dallo Stato di cui fa parte, e che pertanto lo Stato è il prodotto di un libero accordo tra gli individui (contrattualismo). Il liberalismo nasce dalla crisi della concezione autoritaria e gerarchica della società, propria del pensiero medioevale. Si afferma in un primo tempo nel corso delle guerre di religione - soprattutto per opera delle sette  non conformiste che affermano i diritti della coscienza individuale contro la supremazia delle Chiese organizzate e contro gli Stati confessionali -, come liberalismo religioso, cioè come affermazione della libertà religiosa, ovvero della libertà di credere secondo coscienza e non per imposizione. Nell'organizzazione della società, il frutto più alto del liberalismo religioso è il principio di tolleranza, secondo cui nessuno deve essere perseguitato a causa della propria professione di fede. Il liberalismo si sviluppa poi nelle idee dei primi teorici dell'economia e in genere nei pensatori illuministi come liberalismo economico, cioè come affermazione del diritto dell'individuo ad essere affrancato dai vincoli alla disposizione e alla circolazione dei beni d'origine feudale, a cui si erano sovrapposti, durante il periodo della monarchia assoluta, i vincoli derivanti dal protezionismo statale (mercantilismo), e a svolgere la propria iniziativa nel campo dell'economia, secondo le proprie capacità e non seguendo altra regola che quella del proprio interesse individuale sino al limite in cui questo non contrasta con l'interesse altrui. Alla concezione liberale della vita economica è connessa l'idea di concorrenza e quindi della lotta disciplinata dal diritto, come metodo di convivenza e pungolo del progresso sociale. L'idea liberale trova infine la sua conclusione nel liberalismo politico, la cui patria è l'Inghilterra, ossia una determinata concezione dello Stato, nella concezione appunto dello Stato Liberale: secondo questa concezione, il fine dello Stato non è già un fine positivo, di provvedere, ad esempio, al bene comune, di rendere i sudditi moralmente migliori, o più saggi, o più felici, o più ricchi, ma è il fine negativo di rimuovere gli ostacoli che impediscono al cittadino di migliorare moralmente, di diventare più saggio, più felice, più ricco, secondo le proprie capacità e a proprio talento.

Contro lo Stato assoluto, in cui il sovrano, ha un potere senza limiti giuridici, cioè legibus solutus, lo Stato liberale è uno Stato limitato, cioè uno Stato in sui si tende ad eliminare il più possibile gli abusi del potere, e quindi a garantire la libertà dei cittadini dall'ingerenza dei pubblici poteri. Questi limiti derivano, in sede di principio, dai compiti ristretti che vengono attribuiti allo Stato, inteso come arbitro nella gara degli interessi individuali e non come promotore esso stesso di interessi comuni. Rispetto alla struttura giuridica i limiti del potere dello Stato vengono posti mediante due istituzioni caratteristiche: anzitutto mediante il riconoscimento che esistono diritti naturali dell'individuo anteriori al sorgere dello Stato, che lo Stato non può violare, anzi deve garantire nel loro libero esercizio (dottrina del diritto naturale); in secondo luogo, mediante l'organizzazione delle funzioni principali dello Stato, in modo che esse non vengano esercitate dalla stessa persona o dallo stesso organo (come accadeva nelle monarchie assolute), ma da diverse persone o organi in uno o altro modo cooperanti (dottrina della separazione e dell'equilibrio dei poteri).

 

B. L'idea democratica

Mentre il liberalismo ha per principio ispiratore la libertà individuale, il principio ispiratore dell'idea democratica è l'eguaglianza. Liberalismo e democrazia non sempre si possono facilmente distinguere, perché rappresentano due momenti della stessa lotta contro lo Stato assoluto. Il quale, come Stato senza limiti, offende la libertà, ma, come Stato fondato sul rango, sui privilegi di ceto, sulla distinzione dei cittadini in diversi stati con diversi diritti e doveri, offende l'eguaglianza. Ciononostante sono due momenti distinti, e spesso nella storia costituzionale, appaiono contrapposti, anche se oggi, essendo confluiti l'uno nell'altro, hanno dato origine a regimi che sono insieme liberali e democratici.

Partendo dall'idea dell'uguaglianza, la teoria democratica afferma che il potere deve appartenere non ad uno solo o a pochi, ma a tutti i cittadini. Nonostante i molteplici significati assunti nel linguaggio politico contemporaneo dal termine "democrazia", vi è un concetto fondamentale a tutti comune, quello di sovranità popolare. Secondo la teoria democratica, la sovranità, cioè il potere di dettar leggi e di farle eseguire, risiede nel popolo: se il popolo può trasmettere questo potere, o meglio l'esercizio di questo potere, temporaneamente ad altri, per esempio ai suoi rappresentanti, come accade nel sistema parlamentare, non può rinunciarvi e alienarlo per sempre. A questa stregua, mentre il liberalismo tende a proteggere essenzialmente i diritti civili, per esempio la libertà di pensiero e di stampa, di riunione e di associazione, la dottrina democratica ha come suo fine principale la difesa dei diritti politici, con la quale espressione si intendono i diritti di partecipare direttamente o indirettamente al governo della cosa pubblica. Uno Stato è tanto più democratico quanto più numerose sono le categorie dei cittadini a cui estende i diritti politici, sino al limite del suffragio universale, cioè dell'attribuzione dei diritti politici a tutti i cittadini con la sola limitazione dell'età, e quindi prescindendo da ogni differenza riguardante la ricchezza, la cultura o il sesso. Il che spiega, tra l'altro, come vi possa esser un divario tra uno Stato liberale puro e uno Stato democratico puro: uno Stato in cui fossero riconosciuti i principali diritti civili, ma il suffragio fosse ristretto, come accadeva in Italia sino al 1912, poteva dirsi liberale, ma non democratico; d'altra parte, uno Stato a suffragio universale può, servendosi degli stessi congegni della democrazia, instaurare un regime illiberale, come è accaduto in Germania nel 1933, quando il nazismo si impadronì del potere attraverso le elezioni.

Strettamente connessi con l'attribuzione dei diritti politici sono altri due istituti che caratterizzano lo Stato democratico: il sistema elettivo, che si differenzia dalla ereditarietà e della cooptazione, e in tal guisa permette l'esercizio del potere dal basso, o dello Stato fondato sul consenso; e il principio maggioritario, secondo cui le deliberazioni degli organi collegiali debbono essere prese a maggioranza, dal quale deriva il sistema cosiddetto del governo di maggioranza, che si distingue tanto da quello autocratico del governo di minoranza o di uno solo, quanto da quello, del resto irrealizzabile, dell'umanità. Questi diversi principi hanno contribuito alla formazione di una particolare forma di governo, che è andata attuandosi in Europa, con alterne vicende, via via che crollavano le antiche monarchie assolute, cioè alla formazione del regime parlamentare.

 

C. L'idea socialista

Così come l'ideale di uguaglianza politica e giuridica ha via via integrato quello liberale della libertà individuale, così l'ideale dell'uguaglianza sociale ed economica, propugnato dal socialismo, si è sovrapposto e talvolta contrapposto, nel corso dell'ultimo secolo, a quello democratico. Anche il socialismo muove da una aspirazione egualitaria: ma considera l'eguaglianza politica e giuridica, promossa dalla dottrina democratica, un'eguaglianza puramente formale. Che il potere politico si diviso fra tutti i cittadini e che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge, è, per la dottrina socialista, una conquista necessaria ma non sufficiente. Sarebbe sufficiente se l'unica forma di potere, di cui i detentori potessero abusare per opprimere gli altri, fosse il potere politico. Ma il potere politico è molto spesso uno strumento di dominio nelle mani di coloro che detengono il potere economico: una tesi costante delle dottrine socialiste, nelle differenti e talora opposte correnti a cui hanno dato luogo, è che il potere politico è al servizio del potere economico, perciò la causa delle ingiustizie sociali che generano il disordine delle società non è tanto la differenza tra governanti e governati, quanto quella fra ricchi e poveri, di cui la prima è uno specchio generalmente fedele. Pertanto il socialismo ritiene che, per estirpare alle radici il disordine sociale, occorra instaurare un ordine in cui sia combattuta non solo la diseguaglianza politica, ma anche quella economica.

Il mezzo che il socialismo propugna per eliminare la diseguaglianza economica è l'abolizione, in tutto o in parte, della proprietà individuale, e l'instaurazione di un regime sociale fondato, in tutto o in parte, sulla proprietà collettiva. Il socialismo è sempre una forma, più o meno ampia, di collettivismo. Distinguendo la proprietà dei mezzi di produzione (per esempio la terra) dalla proprietà dei prodotti, si possono avere tre forme diverse di socialismo secondo che l'abolizione della proprietà individuale cada: 1) sui mezzi di produzione; 2) sui prodotti; 3) contemporaneamente sui mezzi di produzione e sui prodotti (collettivismo integrale). Per quel che riguarda i titolari della proprietà collettiva, essi possono essere, essi possono essere tanto piccole o grandi associazioni di lavoratori (come le cooperative, o le fattorie collettive dell'URSS), e in questo caso si parla di socializzazione della proprietà individuale, quanto gli enti pubblici o lo Stato, e in questo caso si parla di statalizzazione o nazionalizzazione (soprattutto delle grandi imprese).

La trasformazione della proprietà implica pure una profonda trasformazione nella funzione dello Stato. Mentre lo Stato liberale si astiene dall'intervenire nei rapporti economici, ed è, come si dice, neutrale, lo Stato socialista considera uno dei suoi principali compiti quello i intervenire per indirizzare le attività economiche verso certi fini di interesse generale, ora limitandosi a proteggere i più deboli economicamente con varie forme di assistenza (Stato assistenziale, nella espressione inglese Welfare State, cioè Stato-benessere), ora dirigendo, attraverso una pianificazione parziale o totale, l'economia del paese (Stato collettivista). In questo senso lo Stato socialista si oppone allo Stato liberale.

Rispetto alle idee sulla organizzazione dello Stato, dunque, mentre democrazie e socialismo possono collaborare ed integrarsi, onde lo forme molteplici di democrazia sociale del mondo contemporaneo, non sembra che eguale collaborazione possa avverarsi tra socialismo e liberalismo. Sino ad ora, almeno, nella misura in cui lo Stato socialista avanza, la dottrina dello Stato liberale declina. Il liberalismo ha una concezione negativa dello Stato, il socialismo una concezione positiva; là lo Stato è un regolatore delle attività economiche altrui, qua è esso stesso il protagonista dello sviluppo economico della nazione; l'uno si propone di esser semplice custode o guar-diano del benessere individuale, l'altro pretende di essere il promotore dell'interesse comune.

Il socialismo è dottrina antica: ma solo nel secolo scorso è passato da una fase utopistica (che va da Platone a Campanella, da Morelly a Fourier), cioè di ideazione più o meno fantastica di una società socialista, alla fase realistica, per opera soprattutto di Marx e di Engels, cioè alla fase di promovimento e organizzazione di movimenti politici in favore del proletariato (i partiti socialisti). Questi movimenti hanno assunto prevalentemente due indirizzi, che si susseguono con alterna vicenda nella storia ormai secolare del socialismo: l'indirizzo riformistico, che tende all'attuazione dello Stato socialista attraverso graduali riforme da ottenersi con metodo democratico e servendosi degli istituti caratteristici del governo parlamentare; l'indirizzo rivoluzionario, per il quale la società socialista non può essere raggiunta se non attraverso lo scardinamento della società capitalista borghese, la distruzione dello Stato di classe, e la conseguente sostituzione della dittatura del proletariato alla dittatura della borghesia. Le manifestazioni storicamente più importanti di questi due indirizzi sono il labourismo, che ha provocato radicali trasformazioni della società e dello Stato in Inghilterra e in alcuni Stati dell'Europa del Nord, e il comunismo, che ha condotto il movimento operaio alla conquista del potere in Russia, con la Rivoluzione d'Ottobre (1917), e dopo la seconda guerra mondiale, per tacere degli Stati minori dell'Europa orientali, in Cina, alla fine della lunga guerra civile e nazionale (1948).

 

D. Il cristianesimo sociale

Quando ormai la contesa tra gli ideali liberali e socialisti era divampata, si venne formando, verso la metà del secolo scorso, una nuova dottrina politica e sociale, che prese posizione, con un programma di conciliazione tra i due contendenti, ed ha avuto crescente influsso, in alcuni Stati, sulla vita politica e sociale, soprattutto negli ultimi decenni: la dottrina sociale della Chiesa cattolica, nota col nome di cristianesimo sociale.

Del liberalismo essa rifiuta il presupposto individualistico e la libertà di concorrenza, che condurrebbero ad una lotta di tutti contro tutti, ove il più povero è destinato a soccombere. Ma pure accettando, del socialismo, l'esigenza di proteggere le classi più umili contro quelle dei più potenti, cioè l'impostazione di quella che si chiamò la "questione sociale", rifiuta energicamente la tesi socialista dell'abolizione della proprietà privata. Considerando la proprietà come un diritto naturale, cioè come un diritto senza il quale l'uomo non può sviluppare appieno la propria personalità, la dottrina del cristianesimo sociale aspira, anziché alla sua soppressione, alla sua più ampia diffusione, in modo che possano diventare proprietari dei mezzi di produzione, attraverso forme che vanno dalla frantumazione della grande proprietà agricola alla partecipazione azionaria degli operai alle grandi imprese, il maggior numero di individui. Di fronte all'obiezione messa innanzi dai socialisti, che la proprietà individuale è il maggior fomite di discordia, essa risponde distinguendo il diritto di proprietà, che è privato, dall'uso di essa, che è sociale; e da questa distinzione trae la conseguenza che, se non si può negare all'individuo di avere diritti individuali sui beni economici, gli si può precludere, non solo con il richiamo al precetto evangelico della carità, ma ricorrendo alla regolamentazione coattiva dello Stato, un uso di questi beni che sia nocivo alla società e contrario al bene comune. Con la dottrina del cristianesimo sociale, la proprietà individuale viene riconosciuta, anzi estesa nella sua titolarità, seppur temperata nel suo esercizio.

Anche di fronte al problema dello Stato, il cristianesimo sociale rifugge dagli estremi della concezione negativa dei liberali e di quella considerata troppo positiva dei socialisti. Sin dall'inizio ammise, contro il liberalismo, che lo Stato doveva intervenire nella vita economica soprattutto per proteggere le classi più povere; sostenne contro lo Stato agnostico lo Stato dirigista, e fu fautore e promotore di legislazione sociale. Ma attenuò lo statalismo che giudicava eccessivo dei socialisti, sostenendo la necessità che si formassero fra l'individuo e lo Stato libere associazioni a scopo economico e sociale, le quali permettessero, da un lato, il superamento dell'individualismo l'attuazione dell'idea solidaristica, ed evitassero, dall'altro, il pericolo di cadere nel livellamento collettivistico. Accarezzò l'idea che, favorendo lo sviluppo di associazioni intermedie, si venissero costituendo associazioni di mestiere, composte sia da lavoratori che da imprenditori, che furono dette corporazioni, dalle quali ci si aspettava che la lotta di classe - che il liberalismo non voleva soffocata, perché causa di progresso economico e di elevazione dei ceti popolari, ma giuridicamente regolata, e il socialismo voleva eliminata alle radici mirando ad una società senza classi - fosse conciliata in una mutua comprensione dei rappresentanti del lavoro e del capitale, so Link alle risorse in rete sulla riforma della costituzione
06/03/2005 10:42

Carlo M.

06/03/2005 10:42
Link alle risorse in rete sulla riforma della costituzione

 

Le inziative in rete a difesa

della Costituzione Italiana.

  1. Salviamo la Costituzione. Coordinamento Nazionale
    Il Coordinamento Nazionale “Salviamo la Costituzione. Aggiornarla non demolirla” - a difesa della Costituzione, contro il progetto di riforma della Parte II - è operativo.
    L'adesione della CISL e di numerose altre forze politiche e sociali

  1. Il sito ufficiale delle iniziative 'Salviamo la Costituzione' - Salviamo la Costituzione. Aggiornarla, non demolirla. Coordinamento nazionale delle iniziative per la difesa della Costituzione
    e per il referendum contro il progetto di riforma della II parte della Costituzione

  1. PROGETTO «LA COSTITUZIONE A SCUOLA» - Il tema della Costituzione e della sua centralità nello sviluppo della collettività sociale è oggi quanto mai attuale. Ma è altrettanto evidente come la Costituzione italiana è ancora oggi ampiamente misconosciuta e vissuta come un testo sganciato dalla vita quotidiana, di pertinenza esclusiva della classe politica o delle istituzioni, i cui valori e regole non sono generalmente percepiti dai cittadini come criteri generali di indirizzo e connotativi dello Stato democratico.

4.     ADOTTIAMO LA COSTITUZIONEChiediamo allora a tutti i cittadini che condividono i nostri sentimenti di fare un atto concreto per difendere la Carta Costituzionale, un bene che appartiene a tutti “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, come la stessa Costituzione recita.

5.     Giovani per la costituzione.it - Che cos’è “Giovani per la Costituzione”?

E’ una realtà (ed è già un fatto!) associativa fondata e promossa da studentesse e studenti, in larga parte di facoltà giuridiche, che intendono diffondere e difendere i valori, i principi, ed i contenuti della Costituzione Repubblicana figlia della lotta di Resistenza e di Liberazione. Ma perché dei giovani dovrebbero interessarsi di un cosa “vecchia”, perché dovrebbero impegnare del proprio tempo per un pezzo di carta pensato e scritto in altri tempi da donne e da uomini che avevano esigenze diverse da quelle presenti?
ll nostro impegno è nato alla luce di una serie di considerazioni semplici: la nostra Costituzione è giovane sia sotto il profilo sostanziale che anagraficamente parlando. Non è un pezzo di carta qualunque ma reca in sé i motivi e le ragioni del nostro essere cittadini italiani ed esprime valori ed idee che non hanno tempo, che valgono tanto più oggi, anche se scritte sessant’anni fa. Conoscere la Costituzione è quasi un dovere, ma, più che altro, è il primo passo per appassionarsene, per scoprire che tutti noi siamo cittadini, studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici, genitori e figli perché la Costituzione di questo parla e ne parla nel modo più alto, delineando spazi di libertà e democrazia affinché la nostra personalità sia libera di formarsi ed esprimersi............continua

ttoposti alla stessa legge della morale cristiana.

 

Salviamo la Costituzione

 

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29/03/2005 13:39
Chi cambia la Costituzione per sconfiggere l'avversario







29/03/2005 11:27
LA PATRIA PERDUTA - E. G. Della Loggia


Nuova Carta, in pericolo l'unità italiana




25/03/2005 11:28
Come raccontare la Costituzione Italiana ai nostri bambini.
Carlo M.

In questo testo dialogano due personaggi, simbolo di due generazioni: una maestra che racconta sotto forma di filastrocche gli articoli della Costituzione più significativi per i bambini; e un bambino che risponde alla maestra, commentando con spontaneità e sensibilità le parole ascoltate.




25/03/2005 10:01
Premier onnipotente


Oscar Luigi Scalfaro: questa riforma mortifica il Parlamento e il presidente della Repubblica "così non è più democrazia" la liberazione: Celebriamo la Liberazione ma concentriamo poteri in un uomo solo? E´ follia errore, il titolo V: Il centrosinistra sbagliò a varare quel testo da solo, ma perché ripetere l´errore? il referendum: Nessuno pensi che sia così facile vincerlo. Temo per chi va a votare senza sapere cosa non più garante: Il capo dello Stato è definito garante. Ma di cosa, se gli viene tolto il potere di scioglimento?




24/03/2005 17:11
Saccheggio a Palazzo Madama
Nando Dalla Chiesa

......Che questa incolta sovversione avvenga nell'anno sessantesimo dalla Liberazione, come ha ricordato Gavino Angius, rende tutto più simbolico. Ma deve spingere le forze della democrazia costituzionale a ingaggiare una di quelle grandi battaglie ideali che, nel corso della storia, danno senso alla vita dei partiti. E danno senso anche - non sembri troppo - alla vita dei cittadini.




24/03/2005 10:25
Materiali di informazione e propaganda


Questo documento permette di raggiungere materiale di informazione o propaganda prodotto dal Comitato per la Costituzione di Milano e da altri gruppi.




23/03/2005 18:03
Dialogo tra un costituzionalista e un giovane ignaro di storia e di diritto







16/03/2005 15:01
Sartori: «Vogliono il dispotismo elettivo»


Sartori: il monopolio dell'informazione c'è già, questa legge porta alla dittatura del premier, alla tirannia di maggioranza




15/03/2005 18:30
Un dialogo sulla costituzione tra Pancho Pardi e Mario Luzi


"La cultura è evanescente. Se la si nomina ogni tanto, e se non la si presenta, se non la si fa vedere nelle sue attività, diventa una specie di superstizione"




15/03/2005 18:23
Un paio d'osservazioni in margine al problema della "nuova Costituzione"


Vorrei fare un paio d'osservazioni in margine al problema della "nuova Costituzione" la cui approvazione parlamentare è imminente. Un problema terribilmente importante, della cui importanza, peraltro, come ha notato Romano Prodi, non molti si rendono conto; certo, anche per via delle maniere distratte e ipocritamente smorzate con cui i grandi e piccoli mezzi di comunicazione di massa ne informano gli italiani.




06/03/2005 21:27
Un elogio degli italiani e la Costituzione Italiana


Credo sia giunto il momento di dedicare agli italiani un pensiero riconoscente. Qualunque popolo governato con il cinismo, gli spettacoli da circo, le clamorose affermazioni e negazioni, la protervia e l'indifferenza, le false promesse di Silvio Berlusconi ....




06/03/2005 21:24
Antonio Tabucchi: Appello al Presidente della Repubblica


Signor Presidente della Repubblica, Le rivolgo un appello urgente. In altre occasioni durante le difficili vicende del nostro Paese in questi ultimi anni, come altri italiani mi sono rivolto a Lei, non ottenendo risposta. Stavolta i doveri che comportano la carica che Lei ricopre non permettono più il Suo silenzio.




06/03/2005 21:19
Quella irachena è una guerra contro la Costituzione.


Quella irachena è una guerra contro la Costituzione. Una guerra che vanifica, sprezzantemente, l'istanza pacifista posta tra i principi fondamentali della nostra Carta fondamentale. Gli elementi di violazione della legalità costituzionale sono, infatti, evidenti:




06/03/2005 21:11
Un articolo di Luigi Ferrajoli sul Manifesto


E' cominciata silenziosamente in senato la discussione sul progetto governativo di revisione costituzionale già approvato dalla camera in una prima lettura nello scorso ottobre. Si tratta chiaramente, per le sue dimensioni e per lo stravolgimento progettato, di una nuova costituzione, promossa da una coalizione di forze - Alleanza nazionale, Forza Italia e Lega nord - nessuna delle quali ha partecipato alla formazione della Costituzione attuale. Il senso politico dell'operazione è chiaro.




06/03/2005 21:07
Appello: comitati per il "NO" nel referendum costituzionale


Dopo un lungo attacco al diritto, alla giustizia e alla libertà d'informazione una maggioranza estranea alla storia, alla cultura ed ai valori della Resistenza, sta per portare a termine l'attacco finale alla Costituzione italiana.




06/03/2005 14:50
Scalfaro: salviamo la Costituzione, bene di tutti


Testo della relazione tenuta dal presidente Oscar Luigi Scalfaro presso la parrocchia di S. Giovanni in Laterano di Milano, il 18 Gennaio.




06/03/2005 12:01
Un articolo di Nando Dalla Chiesa su l'Unità







06/03/2005 11:59
Intervista a Franco Bassanini







06/03/2005 11:37
Alcune idee sulla nostra Costituzione







06/03/2005 10:42
Link alle risorse in rete sulla riforma della costituzione
Carlo M.






25/02/2005 10:05
Salviamo la Costituzione - Una iniziativa a Milano
Carlo M.

Appello per la difesa della Costituzione e la formazione dei Comitati per il No nel referendum costituzionale.
La Costituzione italiana è fonte dei diritti di ciascun di noi. Non solo la libertà e i diritti civili e politici, ma la pace, il lavoro,la salute, l'istruzione sono valori che la nostra Costituzione garantisce, con una promessa di progresso economico e sociale, di emancipazione e di eguaglianza sostanziale per tutti i cittadini.

SALVIAMO LA COSTITUZIONE
Sabato 5 marzo 2005
dalle ore 15 alle ore 18
TEATRO NUOVO
piazza San Babila (MM1)

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Salviamo la Costituzione - Una iniziativa a Milano
25/02/2005 10:05

Carlo M.

Conferenza stampa


Lunedì 28 febbraio ore 11


Sede Anpi Milano, via Mascagni 18

 

 

 

Il prossimo 1° marzo 2005, inizieranno in aula, al Senato, le votazioni sul disegno di legge di riforma. della II^ parte della Costituzione.

 

Salviamo la Costituzione (Coordinamento milanese) indice una prima manifestazione pubblica in difesa della Carta Costituzionale

Sabato 5 marzo al Teatro Nuovo di Milano, a partire dalle 15.

 

Costituitosi all’interno del Coordinamento nazionale delle iniziative per la difesa della Carta costituzionale, il comitato milanese per il No nel referendum costituzionale comprende Cgil, Cisl e Uil, la rappresentanza di tutti i partiti del centrosinistra, l’Anpi, l’Arci, le Acli, le associazioni dell’ANM Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia, Libertà e Giustizia, Aprile, Giuristi democratici, il Parlamentino, Le Girandole, l’Osservatorio per la difesa della giustizia e Communitas 2002.

 

Tutti insieme lanciano un appello per dire No alla riforma della II parte della Costituzione voluta dalla Casa delle Libertà. Un disegno che riscrive 53 articoli della Carta repubblicana e mette a rischio i principi fondamentali della democrazia, delinea una forma di governo unica al mondo, basata sulla dittatura elettiva di un uomo solo, mette il parlamento alla mercé del primo ministro e assegna al Presidente della Repubblica un ruolo da notaio. Tra i primi firmatari dell’appello: Giorgio Bocca, Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio, Paolo Rossi, Salvatore Scuto, Dario Fo, Franca Rame, Gianfranco Maris, Giovanni Pesce, Carlo Smuraglia, e gli ordinari di diritto costituzionale Vittorio Angiolini (Università Statale) e Enzo Balboni (Università Cattolica).

 

 

 

                                           Comitato per il No nel referendum costituzionale

 

                                              Appello per la difesa della Carta repubblicana

 

Per informazioni:

Antonio Lareno – Cgil  (3356324455)

Simona Peverelli – Libertà e Giustizia (3484457130)

Tecla Faranda – Giuristi Democratici  (3356034932)

Claudio Castelli – Magistratura democratica (3355276344)

Federico Sinicato – Osservatorio sulla Giustizia (3355951766)                                         

 

 

Milano,24 feb. 05


 

Salviamo la Costituzione

 

Comitato milanese

 

 

 

Appello per la difesa della Costituzione

 

e la formazione dei “Comitati per il No” nel referendum costituzionale

 

 

La Costituzione italiana è fonte dei diritti di ciascun di noi.

 

v      Non solo la libertà e i diritti civili e politici, ma la pace, il lavoro, la salute, l’istruzione sono valori che la nostra Costituzione garantisce, con una promessa di progresso economico e sociale, di emancipazione e di eguaglianza sostanziale per tutti i cittadini.

 

v      La Costituzione non va indebolita ma attuata e semmai adeguata in modo che i diritti dei cittadini non restino sulla carta, ma siano garantiti e trovino effettiva realizzazione in una società aperta e giusta.

 

v      Il disegno di riforma della II parte della Costituzione, già approvato alla Camera dalla attuale maggioranza di governo, è un progetto eversivo che - se attuato - porterà allo svuotamento dei principi del pluralismo, della eguaglianza, della libertà e della partecipazione, che costituiscono il fondamento dell’intero edificio costituzionale.

 

v      La Costituzione è la casa comune che ha consentito il progresso democratico del popolo italiano negli ultimi cinquant’anni e di affrontare le tempeste della Storia, salvaguardando, nell’essenziale, la pace, la libertà, i diritti fondamentali degli individui e delle comunità.

 

v      La riforma proposta sovverte gli stessi cardini dello Stato costituzionale e del suo diritto. Essa compromette l’unità nazionale, riducendo Regioni e Comuni a piccoli mondi chiusi, divisi e tra loro non comunicanti, pregiudicando l’universalità e l’eguaglianza dei diritti, ostacolando la condivisione delle risorse e allargando il divario tra zone più povere e più ricche del paese.

 

v      Essa istituisce, dilatando smisuratamente i poteri del primo ministro, compreso quello di sciogliere a suo piacimento la Camera, un Governo personale, un Capo intoccabile, estraneo ai principi del costituzionalismo moderno. Delegittima e disarma il Parlamento, spoglia delle sue responsabilità di garanzia il Presidente della Repubblica, indebolisce le funzioni degli altri organi dello Stato, a cominciare dalla Corte Costituzionale e dal Consiglio Superiore della Magistratura.

 

v      Con ciò muta la stessa concezione di democrazia: il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni che li riguardano si riduce alla partecipazione al voto, ogni cinque anni, per eleggere una maggioranza e un premier che eserciteranno il loro potere assoluto, senza più vincoli, controlli, contrappesi.

 

v      La democrazia disegnata dalla nostra attuale Costituzione è invece una democrazia partecipativa, inclusiva, integratrice, attenta non solo a garantire i diritti delle minoranze, ma anche a coinvolgere i cittadini nelle scelte fondamentali della collettività e dello Stato.

 

v      Se la riforma dovesse passare la Costituzione sarebbe smantellata e i diritti di ciascuno di noi sarebbero a rischio.

 

v      Il referendum è lo strumento con il quale il popolo italiano può esprimere la propria volontà e salvare il bene essenziale della Costituzione, come patto civile in cui possono riconoscersi tutti i cittadini.

 

v      La Costituzione nasce dalla Resistenza e dalla riconquista delle libertà: deve continuare a essere la garanzia del perseguimento del bene comune e il fondamento morale senza il quale non può vivere una democrazia.

 

v      La sua difesa da ogni stravolgimento è un impegno di tutti i cittadini di qualsiasi appartenenza, provenienza e condizione sociale perché in gioco sono i diritti di ciascuno e di tutti e la stessa possibilità di sviluppo di un’Italia basata sulla partecipazione, sul lavoro, sull’uguaglianza e sull’unità.

 

v      Con queste motivazioni, noi, privati cittadini, associazioni, sindacati e partiti politici, chiediamo ai cittadini di Milano, città medaglia d’oro della Resistenza, di impegnarsi a difesa della Costituzione organizzando ovunque “Comitati per il NO” nel referendum costituzionale.

 

Con questo scopo e queste motivazioni i promotori di questo appello

indicono una prima assemblea pubblica

 

“SALVIAMO LA COSTITUZIONE”

 

Sabato 5 marzo 2005

 

dalle ore 15 alle ore 18

 

TEATRO NUOVO

 

piazza San Babila (MM1)

 

Primi firmatari:

 

Giorgio Bocca, Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio,

Dario Fo, Krizia, Gianfranco Maris, Giovanni Pesce, Franca Rame, Paolo Rossi,

Salvatore Scuto, Carlo Smuraglia

 

I costituzionalisti:

Vittorio Angiolini e Enzo Balboni   

 

 

Le associazioni:

Anpi, Acli, Arci, Cgil, Cisl, Uil, Magistratura Democratica,

Movimento per la Giustizia, Libertà e Giustizia, Aprile,

Giuristi Democratici, Osservatorio per la difesa della giustizia,

il Parlamentino, Le Girandole, Communitas 2002Ds,

Margherita, Italia dei Valori, Rifondazione Comunista,

Comunisti Italiani, Verdi 

 

 

 

Comitato milanese Salviamo la Costituzione

presso Anpi via Mascagni 18

per informazioni: Cgil 02

Libertà e Giustizia 0245491066

 





07/12/2004 20:35
Ma quale Costituzione?
Un articolo dal mensile IL MARGINE dell'associazione culturale Oscar A. Romero


Ma quale Costituzione?
07/12/2004 20:35

Un articolo dal mensile IL MARGINE dell'associazione culturale Oscar A. Romero

MA QUALE COSTITUZIONE?

Emanuele Rossi

(L'articolo è pubblicato con il cortese permesso del mensile IL MARGINE )

La discussione sul progetto di riforma costituzionale presentato dal Governo, approvato in prima lettura dal Senato e successivamente approvato con modifiche dalla Camera dei deputati il 15 ottobre (Atto n. 4862), merita alcune considerazioni, che investono sia il contenuto che il procedimento seguito: tali considerazioni richiederebbero poi una riflessione complessiva sullo “stato” della Costituzione e sugli effetti che su di essa si sono prodotti, sia nell’ipotesi in cui detta riforma fosse condotta a termine sia nel caso che invece essa si interrompesse in qualche momento del suo iter.
Partiamo dai contenuti. La proposta – che peraltro è “in divenire”, dato che il testo proveniente dal Senato è stato ampiamente modificato alla Camera (non ad opera o con il concorso dell’opposizione, si badi bene, cosa che sarebbe in qualche misura legittima e comunque comprensibile, ma solo ed esclusivamente da parte della maggioranza) e dovrà quindi ritornare in prima lettura al Senato – tende a modificare numerosi articoli della attuale Costituzione (si tratterebbe della prima vera riforma consistente del testo del 1948). Tali modifiche si incentrano su alcuni punti fondamentali:
• un primo gruppo riguarda la correzione/completamento/estensione della riforma del Titolo V realizzata dalla maggioranza di centro-sinistra nella precedente legislatura, cui si connette la riforma del Parlamento mediante l’introduzione di un “Senato federale” al posto dell’attuale seconda Camera, oltre ad una serie di modifiche che pur investendo il Parlamento non sono conseguenza diretta della trasformazione “federalista” del Senato;
• un secondo gruppo attiene al rafforzamento dei poteri del Governo ed in particolare del Primo ministro (con connessa rivisitazione dei poteri del Capo dello Stato);
• un terzo gruppo, infine, raccoglie una serie di disposizioni sparse, la cui esigenza dovrebbe risiedere nella volontà di rimediare ad alcune difficoltà in ordine all’applicazione di disposizioni costituzionali (come ad esempio l’esercizio del potere di grazia che verrebbe sottratto dall’obbligo di una proposta ministeriale) o nell’intento di modificare alcune parti per fini populistici e senza alcun nesso effettivo con le esigenze che stanno alla base delle riforme di cui ai primi due gruppi (ad esempio circa la riduzione del numero di parlamentari, l’elezione dei Presidenti delle Camere, o sulle norme che limitano le attività che possono svolgere i giudici costituzionali al termine del loro mandato, e così via).

Devolution: propaganda e realtà
Le disposizioni del primo gruppo, come detto, hanno ad oggetto la “forma di Stato”, e più in particolare l’assetto federalista della nostra Repubblica, già oggetto di revisione ad opera della legge costituzionale n. 3/2001. Un primo aspetto riguarda la riforma del Senato della Repubblica, sia per quanto attiene alla sua composizione che alle funzioni ad esso assegnate. Occorre ricordare al riguardo che la mancata trasformazione del Senato nella “Camera delle Regioni” era stata individuata come uno dei limiti più marcati del “federalismo monco” introdotto dalla riforma del 2001.
La proposta in esame cerca di rimediare a ciò con una proposta che in verità suscita forti perplessità. Secondo il nuovo art. 57, come votato dalla Camera lo scorso 4 ottobre, il Senato rimarrebbe eletto a suffragio universale e diretto su base regionale, e sarebbe composto da duecentocinquantadue senatori (anziché i 315 attuali) eletti in ciascuna Regione contestualmente all’elezione dei rispettivi Consigli regionali e, per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, dei Consigli provinciali. Sarà compito della legge garantire “la rappresentanza territoriale da parte dei senatori”; inoltre, all’attività del Senato dovrebbero partecipare, ma senza diritto di voto, “rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali”, eletti all’inizio di ogni legislatura regionale da ciascun Consiglio regionale tra i propri componenti e da ciascun Consiglio delle autonomie locali tra i sindaci, presidenti di Provincia o Città metropolitana della Regione. Viene altresì abbassata l’età per l’elettorato passivo, passando dai 40 anni attuali a 25 anni.
Sulla base di tali previsioni, dunque, il “Senato federale” verrebbe eletto “a suffragio universale e diretto su base regionale”: ma nei sistemi realmente federali il Senato è espressione degli Stati (o regioni che siano) membri, e ciò si realizza per lo più mediante un’elezione di secondo grado. In sostanza, sono gli Stati (e per lo più gli esecutivi) ad eleggere i propri rappresentanti. L’elezione diretta da parte del corpo elettorale, ancorché con meccanismi che “garantiscano la rappresentanza territoriale”, non sembra idonea a cambiare un sistema quale quello italiano fortemente incentrato sulla rappresentanza politica (ed in particolare partitica), e che di fatto ha reso vana la previsione costituzionale vigente fin dal 1948 in base alla quale “il Senato è eletto a base regionale”. Né per ovviare a questo rischio sembra sufficiente la disposizione in base al quale le elezioni del Senato federale devono essere indette contestualmente a quelle di tutti i Consigli regionali, così da garantire una maggiore connessione tra senatori e regioni di provenienza.
Sul versante delle funzioni del Senato, il testo legislativo ne muta il ruolo sul versante della partecipazione al procedimento legislativo, ed in più lo priva del rapporto di fiducia nei confronti del Governo (che sarebbe riservato in via esclusiva alla Camera). La partecipazione del Senato al procedimento legislativo sarebbe infatti soltanto eventuale e su sua esplicita richiesta in una serie di materie (quelle di competenza esclusiva dello Stato); mentre sarebbe di sua competenza l’approvazione delle leggi contenenti principi fondamentali per la legislazione regionale (con possibilità di “richiamo” questa volta da parte della Camera). In altre materie ancora la funzione legislativa sarebbe esercitata congiuntamente dalla due Camere. Come può facilmente intuirsi, questa tripartizione (ulteriormente complicata da altre previsioni, che fanno del procedimento legislativo una sorta di vero e proprio rompicapo) potrebbe essere fonte di grosse difficoltà interpretative e di conflitti tra i due rami del Parlamento, in quanto la materia sulla quale insiste una determinata proposta di legge non è sempre di facile identificazione (ad esempio nell’ipotesi in cui essa contenga disposizioni riguardanti più piani o più materie).
Non solo: l’attuale art. 71 della Costituzione verrebbe modificato con il prevedere che, nell’ipotesi in cui un disegno di legge non venga approvato dalle due Camere nel medesimo testo dopo una lettura da parte di ciascuna Camera, i Presidenti delle due Camere convocano (e non si specifica se si tratti di un obbligo o di una facoltà), d’intesa tra loro, una commissione mista paritetica, “composta secondo il criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere”, al fine di proporre un testo sulle disposizioni su cui permane il disaccordo tra le due Camere: tale testo è poi “sottoposto all’approvazione delle due Assemblee e su di esso non sono ammessi emendamenti”. Si tratta di una previsione che, sebbene in certa misura ripresa da altre esperienze costituzionali, tuttavia suscita, per come è formulata, non poche perplessità: si rifletta sul potere che tale commissione verrebbe ad assumere (sarà infatti tale organo ad avere in mano la stesura della legge, dato che alle Camere sarebbe riconosciuta soltanto la possibilità di ratifica o di rifiuto) e di conseguenza sul potere dei Presidenti delle Camere, che tale commissione hanno possono convocare e, forse, anche formare, con l’unico criterio loro imposto del rispetto del criterio della proporzionalità.
Tutte le ultime modifiche indicate, sebbene prendano spunto dalla riforma del Senato giustificata dall’esigenza di completare la riforma federalista, hanno com’è evidente una portata assai più ampia, contenendo misure che con il Senato “federale” hanno un collegamento soltanto strumentale.
Sempre con riguardo all’assetto federalista, va poi segnalata la prospettata ulteriore riforma del “famoso” art. 117, relativo alla definizione delle competenze legislative di Stato e Regioni.
In base alla formulazione approvata il 24 settembre scorso, gli elenchi attualmente contenuti nella disposizione costituzionale (e relativi, rispettivamente, alle materie di competenza esclusiva statale, alle materia di competenza concorrente e, residualmente alle materia di competenza regionale) verrebbero modificati, mediante un passaggio di alcune materie dall’ambito della competenza concorrente a quello di competenza esclusiva statale (energia, reti di trasporto e navigazione di interesse nazionale, tutela del credito, tutela della salute): con una riduzione quindi e non con un aumento per le competenze regionali. D’altro canto, all’attuale previsione in base alla quale “spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” ne verrebbe sostituita una in forza della quale “spetta alle regioni la potestà legislativa esclusiva in materia di assistenza e organizzazione sanitaria, organizzazione scolastica e gestione degli istituti scolastici e di formazione, compresa la definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione, polizia amministrativa regionale e locale”, nonché “ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. Si tratta, come si ricorderà, delle materie che già il Governo aveva proposto in un precedente disegno di legge (noto nel linguaggio giornalistico come “devolution”), e sulle quali si era aperto un confronto assai aspro nel Paese sulle possibili conseguenze connesse alla sua introduzione. Occorre anche ricordare che sulla “devoluzione” il Governo in carica ha istituito persino un Ministero apposito.
A fronte di questa proposta si sono levati cori: da un lato, nel ritenere che con essa finalmente si realizzerà il federalismo; d’altro canto, sostenendo che con questa previsione si spacca l’Italia. A mio modesto avviso si tratta di una ennesima forzatura del linguaggio e della lotta politica, al di là della realtà effettiva delle cose. La riforma costituzionale, sul punto, sembra avere più un effetto propagandistico che reale: mentre infatti da un lato si vorrebbe attribuire alle regioni l’assistenza e l’organizzazione sanitaria, con l’altra mano si attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la determinazione di “norme generali sulla tutela della salute”; per quanto riguarda poi l’istruzione, allo Stato rimarrebbe comunque la competenza esclusiva sulle “norme generali sull’istruzione”, mentre l’“istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale” rimarrebbe potestà concorrente tra Stato e Regioni; quanto infine alla polizia locale, già l’attuale formulazione dell’art. 117 attribuisce allo Stato la competenza in materia di ordine pubblico e sicurezza, ma “ad esclusione della polizia amministrativa locale” (che quindi deve intendersi di competenza regionale). A tutto questo si deve aggiungere che allo Stato spetta comunque la potestà legislativa esclusiva in ordine alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”: potestà che, se correttamente esercitata, potrebbe essere sufficiente a garantire dai rischi di disparità di trattamento eccessivo tra cittadini a seconda delle Regioni in cui si trovano a vivere.
A sottolineare poi l’effetto paradossalmente controproducente nei confronti dell’autonomia delle Regioni, si pensi che con voto del 30 settembre è stata eliminata la previsione, contenuta nell’attuale art. 116 terzo comma, che consente alle Regioni che lo richiedono di ottenere competenza legislativa in materie ulteriori rispetto a quelle che già hanno in via ordinaria, tra le quali “le norme generali sull’istruzione” e la tutela della salute: perché allora non lasciare le cose come stanno, e consentire alle Regioni che intendono assumere le competenze in materia di attivarsi, lasciando al contempo libere quelle che non lo vogliono di non vedersi costrette a gestire ulteriori materie?
Come si vede, dunque, mancano del tutto i presupposti per chiamare questa proposta “devolution”, per decantarne gli effetti “federalisti” e per temere chissà quali effetti di disgregazione dell’unità nazionale. A quest’ultimo proposito: siamo sicuri, ad esempio, che l’avere attribuito in via esclusiva alle Regioni la potestà legislativa in materia di assistenza sociale (come ha fatto la legge cost. n. 3/2001) sia meno grave di attribuire loro l’assistenza sanitaria?
Un po’ in controtendenza rispetto a questo (forse apparente, per quanto si è detto) allargamento di competenze regionali, sta la reintroduzione del limite dell’“interesse nazionale” per la legislazione regionale: in sostanza, quando il Governo ritenga che una legge regionale pregiudichi l’interesse nazionale della Repubblica deve inviare entro quindici giorni la legge al Consiglio regionale, perché rimuova la causa del pregiudizio. Se la regione non provvede, il Governo sottopone la questione al Parlamento in seduta comune (nientemeno!) che la può annullare. Anche su questo non è forse inutile ricordare che un istituto simile era già contenuto nella Costituzione del 1947, e che non ha mai avuta alcuna applicazione: proprio per tale motivo la riforma del 2001 l’aveva eliminato, ed ora viene reintrodotto senza alcuna prospettiva reale che esso possa essere effettivamente utilizzato. Oltretutto, questo tipo di limite non riguarda la violazione di norme (costituzionali o di altra natura), ma attiene ad un concetto del tutto indefinito e perciò rimesso alla discrezionalità del continuum Governo-Senato, quale appunto quello di “interesse nazionale”.
La preminenza del Primo Ministro

Si persegue poi l’intento di modificare la conformazione e l’azione del Governo ed il suo rapporto con il Parlamento: detto in altri termini, ci si propone di modificare la forma di governo.
L’intenzione è quella di sostituire alla forma di governo parlamentare una sorta di premierato, in verità assai pasticciato. Si stabilisce infatti che la nomina del Primo ministro (definizione che sostituirebbe l’attuale di “Presidente del Consiglio dei ministri”) spetti ancora al Presidente della Repubblica, ma la “candidatura” (?) a tale carica “avviene mediante collegamento con i candidati all’elezione della Camera dei deputati, secondo modalità stabilite dalla legge”. Inoltre, si rinvia ad una legge che “disciplini l’elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro”. Una volta nominato, il Primo ministro non deve ricevere la fiducia da parte del Parlamento: la (sola) Camera è tenuta soltanto ad approvare il “programma” da questi presentato. In ogni momento la Camera può votare la sfiducia al Governo: in tale ipotesi, ed anche nel caso in cui la mozione sia respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni (è la norma anti-ribaltone), il Premier si deve dimettere ed alle dimissioni segue il decreto di scioglimento della Camera, senza che il Presidente della Repubblica possa esperire alcun tentativo di risolvere diversamente la crisi di governo. Tuttavia, nella formulazione approvata l’11 ottobre scorso dalla Camera, si introduce una possibilità ulteriore: e cioè che qualora la Camera, successivamente alle dimissioni del Primo ministro, approvi una mozione “presentata e approvata dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni” (sic!) con la quale si dichiari “di voler continuare nell’attuazione del programma e si designi un nuovo Primo ministro”, in tal caso il Presidente della Repubblica, mero notaio della situazione, deve nominare tale primo ministro. Tale previsione è stata subito chiamata dalla stampa la “sfiducia costruttiva”: ma là dove questa è prevista non si pongono vincoli di quale maggioranza la possa votare. Dove finisce altrimenti la sovranità del Parlamento?
Quanto alle funzioni, al Primo ministro verrebbero attribuiti poteri assai maggiori a quelli previsti dalla Costituzione vigente: in particolare gli spetterebbe la nomina e la revoca dei ministri, senza più possibilità di partecipazione del Capo dello Stato alla composizione della compagine governativa; egli “determina” e non “dirige” soltanto la politica del Governo.
Al Governo nel suo insieme verrebbero inoltre rafforzate le prerogative: in particolare il nuovo art. 64 della Costituzione dovrebbe stabilire che “il regolamento della Camera garantisce le prerogative del Governo”, dovendosi ciò intendere con riferimento alla programmazione dei lavori ed alle priorità legislativa che il Parlamento si trovi a discutere.
Come può notarsi, dunque, saremmo di fronte ad una trasformazione che, sull’esempio di quanto è avvenuto nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni, tende ad attribuire al Governo una sorta di investitura popolare diretta (secondo forme e modi in verità non specificati, e che quindi potrebbero anche essere realizzati in modi differenti); rafforza conseguentemente l’esecutivo a scapito dell’assemblea elettiva; all’interno dell’esecutivo attribuisce una posizione di assoluta preminenza al Primo ministro, facendo dei ministri una sorta di suoi collaboratori (potendoli questi revocare in ogni circostanza, senza necessità di alcun passaggio parlamentare); elimina qualsiasi possibilità di influenza del Capo dello Stato facendone venir meno la possibilità di intervento corrispondente alla sua funzione di garante del corretto equilibrio tra i poteri.

Quanto agli altri aspetti della riforma, è possibile soltanto ricordare la diversa composizione della Corte costituzionale, tendente ad aumentarne la provenienza politica (sette anziché cinque giudici sarebbero eletti da Parlamento, rispettivamente quattro il Senato e tre la Camera, mentre le supreme magistrature ne eleggerebbero quattro al posto dei cinque attuali ed al Capo dello Stato ne spetterebbero quattro anziché cinque).
Va infine segnalato che si intenderebbe riformare anche il procedimento di riforma della Costituzione, introducendo la possibilità di richiedere referendum anche nell’ipotesi di approvazione della legge costituzionale con la maggioranza dei due terzi. Nel testo approvato dal Senato si era introdotta la previsione di un quorum strutturale anche per il referendum costituzionale (nel senso che il referendum non doveva considerarsi valido, e conseguentemente la legge doveva ritenersi non approvata, nel caso in cui non si fosse recata a votare la maggioranza degli elettori), così di fatto irrigidendo ulteriormente la Costituzione: ma la Camera ha cancellato tale previsione.

Un quadro confuso
Quanto sin qui detto induce una serie assai rilevante di dubbi e perplessità, credo non soltanto sul versante tecnico-giuridico. Si è in presenza di un quadro a dir poco confuso e fonte di inesauribile potenziale conflittualità (si pensi ad esempio al nuovo procedimento legislativo), quando non anche potenzialmente idoneo a scardinare l’equilibrio costituzionale che la nostra Carta ha garantito nella sua cinquantennale storia, malgrado la forti limitazioni politiche ed internazionali che non hanno consentito la realizzazione di una democrazia compiuta. Anche il tentativo di costituzionalizzare la situazione a cui si è giunti mediante riforme legislative ordinarie (vedi leggi elettorali) e prassi politiche (nessuno costringeva ad esempio gli schieramenti politici ad indicare prima delle elezioni un candidato premier), pare a chi scrive pericoloso e limitativo per l’evoluzione politica e democratica del sistema: detto in altri termini, se la nostra Costituzione del 1947 avesse irrigidito le regole come si tende a fare ora, nulla di tutto quello che è avvenuto dal 1992 ad oggi probabilmente si sarebbe potuto realizzare.
Ma forse ancor più che sul merito delle riforme, è sui modi (e perciò anche sul senso complessivo) di esse che occorre riflettere e denunciare.
Si sta procedendo a questa fase di revisione non solo senza alcun tentativo serio di mediazione con l’opposizione (alla Camera il progetto di legge è stato approvato con 295 voti a favore, tutti della maggioranza, e 202 contro)., ma altresì con un metodo di azione che definire non lineare è usare un eufemismo all’ennesima potenza. Si ricordi che la proposta iniziale è frutto di una “riflessione” estiva di quattro o cinque “saggi” che si sono ritrovati in una località di montagna (quando queste cose si racconteranno ai nostri figli forse si metteranno a ridere): il testo da questi predisposto è stato poi rivisto e concordato dai partiti (nel senso delle rispettive segreterie, ovviamente) della maggioranza; il Governo ha poi approvato il testo e l’ha presentato al Senato, che l’ha approvato: ovviamente a maggioranza e senza troppa libertà di manovra nemmeno per i senatori della maggioranza. Basti pensare che in alcune circostanze si è addirittura pensato di porre la questione di fiducia: e ciò avrebbe dovuto provocare un sussulto di dignità in coloro che avevano denunciato come fatto gravissimo la circostanza che la riforma costituzionale del 2001 fosse stata approvata dalla sola maggioranza. Come infatti possono seriamente ritenere i critici di allora (al di là della correttezza costituzionale di tale operazione) che sia possibile ed opportuno non solo approvare una riforma costituzionale “a colpi di maggioranza”, ma addirittura “blindarla” con il voto di fiducia?
Tornando alla cronaca, dopo il voto finale del Senato ci si sarebbe dovuti aspettare che quel testo andasse alla Camera e lo si prendesse in esame. Non è andata così. Si è provveduto ad ulteriori vertici tra i partiti (leggasi sempre segreterie o loro diramazioni) per formulare un altro e diverso testo (per un periodo si è addirittura prospettata, dato che nel frattempo si era arrivati all’estate successiva, una riedizione del concistoro dei saggi in una baita di montagna, ma forse il caldo meno asfissiante dell’estate 2004 ci ha risparmiato questa eventualità); quando è iniziata la discussione alla Camera, il 13 settembre, il nuovo Ministro per le riforme sen. Calderoli ha illustrato le proposte di modifica elaborate dal Governo sotto forma di emendamenti al testo approvato (da quella stessa maggioranza) al Senato. Due giorni dopo, i capigruppo della maggioranza hanno depositato un “pacchetto di emendamenti” a prima firma Elio Vito.
La successiva discussione ed approvazione (su testi che in base alle vicende descritte non sono del tutto chiari nemmeno agli stessi deputati, figuriamoci al Paese) ha poi seguito percorsi misteriosi: si è cominciato dall’art. 1 (e fin qui ci siamo), poi si è deciso di saltare all’art. 32 della proposta (che riguarda il Titolo V), per poi ritornare all’art. 2. Tant’è vero che in un sito internet di diritto costituzionale viene pubblicata e giornalmente aggiornata una rubrica (il “Diario di una riforma”) la cui lettura è assai istruttiva (ed anche deprimente, ma non per colpa degli ottimi redattori: per chi volesse, l’indirizzo del sito è www.forumcostituzionale.it).
Questo è il “processo costituente” che si sta realizzando, da parte di una maggioranza che dice di fare dell’efficienza, della chiarezza, della razionalità delle procedure i criteri di azione per la propria condotta politica. Ma ancora non basta. A seguito di una votazione di questi giorni e che ha visto una parte della maggioranza votare insieme all’opposizione, facendo così cadere un articolo della proposta, alcuni esponenti di AN, che hanno votato con l’opposizione, hanno usato delle espressioni che assai bene descrivono l’animus del riformatore costituzionale attuale. Giustificando la loro condotta, hanno detto di aver votato contro l’articolo in questione (quello che espressamente escludeva dall’obbligo di controfirma ministeriale una serie di atti del Presidente della Repubblica, tra i quali quello di concedere la grazia) in quanto “contrari alla grazia a Sofri”. Questo è il punto al quale siamo arrivati: non solo si approvano leggi ad personam, ma anche la Costituzione si riforma ad personam (o contra personam)! La Costituzione è diventata merce di scambio per risolvere casi particolari o per regolamenti di conti tra un ministro e i suoi detrattori. Questo è l’orizzonte più avanzato che evidentemente hanno di fronte i nostri riformatori: se Sofri non ci fosse stato, forse avremmo già cambiato quella disposizione (o forse non si sarebbe neppure pensato di cambiarla, il che non cambia la sostanza delle cose).

A ognuno la sua riforma?
Le vicende di questi ultimi anni sembrano aver fatto passare l’idea che ogni maggioranza politica debba farsi la “sua” riforma della Costituzione, quasi che i programmi di governo non debbano tendere tanto a far funzionare meglio il Paese, a garantire servizi più adeguati, a realizzare forme più avanzate di giustizia sociale, quanto piuttosto a cambiare l’assetto costituzionale e la distribuzione dei poteri dello Stato. Con l’ulteriore conseguenza di contribuire all’idea di una Costituzione pret à porter, da cambiare come si cambiano gli abiti quando muta la stagione: ma con il rischio reale di fare sì che quell’abito non svolga più la sua funzione. Di fronte a ciò, occorre richiamare chi ha a cuore il valore della democrazia, che non è solo rispetto delle regole di funzionamento ma anche condivisione dei valori alla base della convivenza, a vigilare ed operare perché sia difeso il ruolo e la forza conformante della Costituzione, combattendo chi ritiene che sulle riforme costituzionali si giochi la bontà di una maggioranza politica o addirittura se ne faccia strumento per tenere unita una maggioranza mediante ricatti o scambi tra interessi reciproci.
Un buon modo di concludere queste note è ricordare l’appello al Parlamento che con forza è emerso dalla 44a Settimana sociale dei cattolici, svoltasi nei giorni scorsi a Bologna. Come ha detto assai bene Franco Pizzetti, trovando consenso quasi unanime nella platea (che quelle parole ha applaudito ripetutamente e con forza)

“questo metodo, questo clima, questo modo di operare non è accettabile. Questo davvero offende la Costituzione e chi nella Costituzione crede. Questo colpisce al cuore la nostra democrazia e la nostra stessa cittadinanza. La Costituzione è, nelle moderne democrazie, l’elemento fondante della cittadinanza e della stessa identità di Patria. Nelle moderne democrazie costituzionali il patriottismo è il patriottismo della Costituzione. Sulla Costituzione si giura, per la Costituzione si può essere chiamati ai sacrifici più alti. Non possiamo accettare, non vogliamo accettare, non accettiamo che la nostra Costituzione sia trattata dal Governo e dalla maggioranza del Parlamento come essa è trattata in questi giorni e in queste ore nella Camera dei deputati. A questo e per questo, io credo, che, prima nella nostra coscienza e poi con la nostra azione, ci dobbiamo ribellare in ogni modo a tanto scempio”.





01/12/2004 10:24
L'intervento di Paola Patuelli all'incontro di Bologna del 27 Novembre
Paola Patuelli


L'intervento di Paola Patuelli all'incontro di Bologna del 27 Novembre
01/12/2004 10:24

Paola Patuelli

La risposta del popolo sovrano

 

Salveremo la Costituzione

 

Il lungo attacco alla Costituzione: la risposta del popolo sovrano. Bello il titolo di questo incontro. Don Milani era un prete che ben sapeva che un popolo può esercitare la sua sovranità solo se ha gli strumenti per comprendere e scegliere.

 

Il nostro Comitato è nato all’inizio del 2002, in risposta all’appello di Borrelli RESISTERE RESISTERE RESISTERE e, appunto, informare, comprendere, scegliere. Da allora non abbiamo interrotto mai il nostro esercizio alla sovranità, soprattutto sui temi della GIUSTIZIA, della SCUOLA, e, dallo scorso anno, della COSTITUZIONE. Siamo nel Coordinamento nazionale dei Girotondi e dei Movimenti e, con movimenti di numerose città, aderiamo al Coordinamento nazionale per la Difesa della Costituzione.

Gratitudine, quindi, per Libertà e Giustizia, per Astrid, per i Comitati Dossetti per avere compiuto una opportuna accelerazione. Inoltre, avere presidente del Coordinamento nazionale Scalfaro ci garantisce e ci onora, e ha un grande significato: il passato non va onorato in modo cerimoniale, o non solo, ma va rispettato con la coerenza che di volta in volta il presente richiede. E Scalfaro è la dimostrazione vivente che questo è possibile.

 

Il 2 ottobre a Roma era presente una buona rappresentanza dei movimenti, anche dall’Emilia Romagna, Ravenna, Parma, Reggio Emilia. Ci è piaciuto quell’incontro. C’era l’insieme di quello che consideriamo il nostro mondo, società civile, costituzionalisti, sindacati, i partiti del centro sinistra. E’ stato un vero laboratorio: posizioni inizialmente diverse, come la proposta di Amato di una Assemblea Costituente, è stata concordemente superata dalla sintesi che, con l’aiuto di tutti gli interventi, ha saputo fare Prodi. Ci hanno detto i costituzionalisti: “L’Assemblea costituente si fa quando la Costituzione non c’è. Noi l’abbiamo, è ottima. Eventuali miglioramenti li potrà fare, nel pieno rispetto del suo spirito, chi la condivide, e solo dopo averla difesa strenuamente. Quindi, dopo un referendum da fare e da vincere”. E  Prodi ho detto con forza: “Con questo governo non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo fare nessuna riforma costituzionale”. Buona sintesi, alta, non demagogica, che richiama insieme i limiti che ogni azione politica deve consapevolmente avere (non si può fare tutto); la volontà, senza la quale ogni azione politica è fredda e non convincente; il dovere, la consapevolezza etica della propria responsabilità, e dei suoi effetti nel futuro.

 

Calamandrei, nel Discorso tenuto ai giovani a Milano nel 1955, che con Sandra Bonsanti abbiamo riletto, due anni fa, nel corso di una bella serata a Ravenna, dedicata  alla Costituzione ( e, insieme, ci siamo commosse), ricordava che nella nostra Costituzione è presente una “polemica”, forte, contro il ventennio da poco trascorso, quando le libertà erano negate. Oggi il governo, con la riforma della Costituzione, è questa “polemica” che vuole sopprimere. E noi non possiamo permetterlo.

 

Quindi, dai movimenti viene questa richiesta forte: metterci insieme, rappresentati, nelle varie articolazioni della società, e rappresentanti. Riteniamo che, a tutt’oggi, la mobilitazione dei partiti di Centrosinistra sia insufficiente, mentre l’emergenza è grave, indubbiamente grave. Questa, la mobilitazione referendaria in difesa della Costituzione, può essere una delle più importanti prove, con cui ricostruire, rimettere in sesto, una fiducia che è oggi labile, incerta, spesso lacerata anche all’interno di ogni singola coscienza, fra rappresentati e rappresentanti.

 

E, in considerazione del fatto che molto probabilmente la campagna referendaria si intreccerà con una difficile campagna elettorale per le elezioni politiche del 2006, e che la Costituzione può essere un argomento molto forte, chiediamo a tutti i partiti del Centrosinistra un impegno coerente  esplicito: quello di cancellare, esplicitandolo nel proprio programma, le leggi anticostituzionali prodotte da questo governo illiberale, la controriforma della giustizia, la riforma della scuola, il monopolio mediatico, la legislazione del lavoro, un grave arretramento rispetto ai nostri principi costituzionali che fondano ogni dimensione della vita umana sul diritto, acquisizione  recente ed evidentemente ancora debole della cultura umana. Non è scontata la sconfitta di questo governo illiberale; i presupposti sono ancora tutti da costruire.

 

Per vincere il referendum, i movimenti intendono promuovere, lo stiamo facendo in molte città, anche in Emilia Romagna, i Comitati referendari;  ad esempio, a Parma con il diretto impegno del Girotondo Prendiamo la parola. A Ravenna  il Comitato referendario si è presentato alla città il 24 novembre scorso. Primi promotori numerosi movimenti, fra cui quello che qui rappresento, ANPI, ARCI, ACLI, ENDAS, i segretari delle Confederazioni sindacali, i deputati del centrosinistra della nostra Circoscrizione. Naturalmente chiediamo adesioni ai partiti (numerose sono arrivate e altre sono in arrivo), e ai singoli, cittadine e cittadini.

 

O faremo una grande rete capillare, di mobilitazione reale, che arriva anche nelle pieghe di ogni territorio, per informare, coinvolgere, in modo “caldo” e non solo con argomentazioni tecniche e giuridiche, ma centrali, ad esempio “Che ne sarebbe della nostra vita se…?”, o l’esito potrebbe non essere quello desiderato. A livello nazionale contribuiremo con una Carovana itinerante Salveremo la Costituzione, un nuovo giuramento della pallacorda. Nel 1789 l’autoproclamata Assemblea nazionale giurò che non si sarebbe sciolta fino a quando non avesse dato alla Francia una Costituzione; oggi giuriamo di procedere insieme fino a quando non avremo salvato la nostra Costituzione. Cercheremo di tenere assieme ragionamento ed emozioni, chiamando testimoni della vita civile, dell’informazione, dello spettacolo, oltre che i costituzionalisti, comunque indispensabili. Credo che Dossetti e Calamandrei sarebbero contenti di questa nostra Carovana, che parte da Marsala, per riconquistare anche il Nord ai valori dell’unità solidale anche se, sicuramente, plurale. C’è da ricostruire? Credo proprio di si. Né’ i partiti da soli, né la società civile e i movimenti da soli potranno riuscirci.

Proviamo a farlo insieme.

 

 

Bologna, 27 novembre 2004                                                                             Maria Paola Patuelli

                                                                                                                Comitato Emergenza Legalità

                                                                                                                                  Ravenna





29/11/2004 10:20
Intellettuali, disturbate il manovratore
Intellettuali, disturbate il manovratore
29/11/2004 10:20


Repubblica - Napoli, 24 novembre 2004, pag. 1

Un interessante articolo di Massimo Villone su Repubblica del 24 Novembre 2004.

Massimo Villone

Intellettuali, disturbate il manovratore

È in primo piano il manifesto degli intellettuali per la salvezza di Napoli.

Una riflessione sulla città ci fa comunque bene, dati i problemi gravissimi,

dalla sicurezza, al lavoro, alla casa. Ma vediamone le coordinate.

Anzitutto, niente tormentoni di società civile buona contro politica

cattiva. A quale società civile vanno le medaglie? È società civile anche

quella delle lobbies attente ai propri interessi e vicine ai potenti di

turno, o dei consiglieri del principe; quella che evade il fisco o commette

gli abusi urbanistici e plaude ai condoni; quella che non rispetta i

semafori, i divieti, le corsie preferenziali, e chiede di cancellare le

multe, se arrivano. Poi abbiamo una società civile - la melior pars - che

guarda al bene comune, agli interessi generali e non al proprio particolare.

La "migliore" società civile è minoritaria, anche se tutti affermano di

farne parte. E comunque in un'assemblea o in una elezione troviamo le parti

buone e quelle cattive, e tutte si riflettono nella politica. Dunque,

abbiamo la "migliore" politica con la "migliore" società civile, ed anche

all'inverso la peggiore.

Io credo che le iniziative di società civile valgono per quel che pongono

concretamente in campo. Mi permetto un consiglio. Una cosa la "migliore"

società civile può fare in modo efficace, e con pochi concorrenti: criticare

il potere. Si dia voce ai cittadini che voce non hanno, sul governo debole e

inefficace, la malamministrazione, le clientele, la gestione familistica e

di clan, lo spoil system, l'arroganza di chi sfugge al confronto

democratico.

Una critica penetrante ci potrà far presumere - le certezze non sono di

questo mondo - che si parli nell'interesse di tutti, e non per qualcuno in

particolare. E si evidenzia una condizione di credibilità: che all'iniziativa

di società civile non prenda in alcun modo parte chi al potere è vicino, per

l'evidente conflitto di interessi di chi recita più ruoli in commedia.

Ma qual é, infine, lo spazio per risultati concreti? Qui un dubbio viene.

Assemblee, forum e assise suppliscono all'inefficienza di istituzioni e

partiti. E la domanda è: le ragioni ultime di quell'inefficienza non toccano

anche le iniziative di società civile? Se un assemblea di partito o

rappresentativa non funziona, perché dovrebbe invece funzionare quella

autoconvocata dagli intellettuali?

Nelle regioni e negli enti locali viviamo l'esperienza dell'elezione

diretta, con un'assoluta centralità del potere esecutivo. Questa scelta -

evitabile o inevitabile che fosse - ha ridotto ai minimi termini il ruolo

delle assemblee rappresentative. Anzi, queste si sono modellate sulle

funzioni di governo. Ci sono nelle assemblee i consiglieri in cordata con

questo o quell'assessore, i fedelissimi del sindaco o del presidente. Come

ci sono i fans degli aspiranti futuri assessori, sindaci e presidenti.

Nei fatti, la confusione è massima e la capacità di governo minima. Anche da

qui vengono i problemi oggi in campo. Per qualcuno la causa è nel ritorno

dei partiti politici, che indebolisce e condiziona l'azione di governo di

sindaci e presidenti eletti direttamente. E si propone in conseguenza di

rafforzarne ancora la posizione. Ma non è così semplice.

In realtà, i partiti come forma organizzata della "buona" politica sono oggi

più deboli che mai. Anche la dialettica di partito non è più focalizzata su

progetti e opzioni politiche, ma su cordate e fedeltà, che si modellano e

misurano anzitutto sul potere, e dunque sui titolari di cariche di governo.

I partiti si dividono tra seguaci di questo e di quello, a prescindere da

quel che pensano. E la spinta verso i partiti personali, proprio a partire

da governatori e sindaci, cresce.

La ragione ultima è nell'affermarsi di una filosofia di fondo: una

concezione esasperata di democrazia di mandato, per cui chi è eletto deve

essere lasciato governare per poi rispondere solo agli elettori nel

successivo turno elettorale. Se questa premessa è vera, è chiaro che niente

devono contare i luoghi diversi dalle sedi di governo: possono solo essere

un fastidioso ostacolo. Tanto meno devono aver peso le critiche a chi

governa. Nessuno deve disturbare fra un voto e l'altro il manovratore,

libero nel frattempo di fare ciò che crede per tenere fede agli impegni

assunti.

È un modello rozzo e inefficiente, che non tiene conto delle complessità

della politica in una società avanzata. Ed è anche una situazione di alto

pericolo, per la chiara possibilità di distorsioni clientelari e peggio. Ma

il punto che qui rileva è che il principio di non disturbare il manovratore

vale per partiti e consigli rappresentativi, e vale anche - allo stesso

modo - per assemblee autoconvocate, assise, forum e quant'altro. I

disturbatori non sono buoni o cattivi: sono disturbatori e basta. Alla fine,

sono proprio i cittadini che pesano solo nel voto, e sono consegnati al

silenzio tra un voto e l'altro. E dunque se non devono pesare nei partiti e

nelle assemblee rappresentative, perché dovrebbero poter pesare nelle

iniziative di società civile?

Esistono affinità genetiche tra una raffinata assise e una rivolta popolare

sui rifiuti. Sono entrambe forme di protesta contro un deficit di politica.

Ma l'assise raffinata può dare un contributo unico, al di là dello sforzo

eccezionale - pur meritevole - di fronte all'emergenza. Si interroghi se non

sia venuto il tempo di superare l'eccessiva personalizzazione del potere e

lo squilibrio verso le funzioni di governo. Si chieda quali sono le scelte

opportune per ridare vitalità ai soggetti e ai luoghi della rappresentanza

politica che devono assicurare il quotidiano contatto tra governanti e

governati, perché i cittadini pesino tutti i giorni, e non solo quando vanno

a votare.

La riflessione sul potere è lo spazio più qualificante per un manifesto di

intellettuali. E il successo maggiore di un simile manifesto si avrebbe

quando non vi fosse più ragione di scriverlo.




29/11/2004 10:04
Le iniziative del comitato salviamo la costituzione di Parma

 Le iniziative del comitato salviamo la costituzione di Parma
29/11/2004 10:04


 

Ancha a Parma si è costituito un comitato per salvare la Costituzione.

Per saperne di più, dare la vostra adesione o chiedere informazioni.


Le iniziative in corso e quelle future.




24/11/2004 11:03
Lettera di Scalfaro

 Lettera di Scalfaro
24/11/2004 11:03


Il testo della lettera del Presidente Scalfaro con la quale ha accolto la richiesta di assumere la presidenza del Coordinamento nazionale di Salviamo la Costituzione.

Grazie, Cari amici, per l’onore grande che mi fate offrendomi la presidenza del coordinamento di tutte le forze politiche, sociali, di tutti i movimenti, di tutti i cittadini che si ribellano all’attuale capovolgimento della nostra Carta Costituzionale.

Dopo aver difeso, come mio dovere, la Costituzione durante il mio settennato, ho subito ripreso a girare l’Italia per rispondere ai tanti inviti, specie di giovani, per questa difesa che sento di dover compiere come impegno sacro anche per rispetto delle gloriose lotte e delle immani sofferenze che sono fondamento e vita di questa Carta preziosa.

Accolgo volentieri il vostro unanime invito, ben conoscendo le difficoltà che

abbiamo dinnanzi; ma la fede nella libertà e l’entusiasmo per difenderla nei

valori fondamentali della nostra Costituzione non vengono meno.

Con l’aiuto di Dio, metterò ogni impegno per continuare con voi questa pacifica, ma intransigente battaglia per la nostra Italia, per il nostro popolo.

Eccomi dunque al vostro fianco con tanto amore.

 

Oscar Luigi Scalfaro







24/11/2004 09:04
La carovana a Bologna il 27 Novembre
Paola Patuelli, Carlo Mazzucchelli

Una iniziativa a Bologna con Scalfaro, Cofferati, Bassanini, Patuelli, Bonsanti e molti altri. Tutti per salvare la Costituzione.

La carovana a Bologna il 27 Novembre
24/11/2004 09:04

Paola Patuelli, Carlo Mazzucchelli

Salviamo la Costituzione. Aggiornarla non demolirla

 

Coordinamento nazionale delle iniziative  per la difesa della Costituzione

e per il referendum contro la conferma della riforma costituzionale

 

 

Comitati Dossetti per la Costituzione

 

Astrid e Libertà e Giustizia

 

organizzano il 3° Convegno sul tema

 

Il lungo attacco alla Costituzione:

 

la risposta del popolo sovrano

 

Sabato 27 novembre 2004

Ore 14.30 – 17.00

Sala ATC, via Saliceto 3 Bologna

 

14.30: saluti e apertura dei lavori

Beatrice DRAGHETTI presidente della Provincia di Bologna

 

 14.40: intervengono

Francesco DI MATTEO

responsabile Comitato Dossetti per la Costituzione di Bologna

Franco BASSANINI

presidente di Astrid

Sandra BONSANTI

presidente di Libertà e Giustizia

 Paolo NEROZZI

segretario confederale CGIL

 Giorgio SANTINI

segretario confederale CISL

 Guglielmo LOY

segretario confederale UIL

 Maria Paola PATUELLI

Comitato Emergenza legalità di Ravenna

Walter VITALI

senatore

 

 16.00: interventi di

Sergio COFFERATI

 

Oscar Luigi SCALFARO

 

 



02/11/2004 16:25
Una carovana dal sud al nord in difesa della Costituzione.
Pancho Pardi

Una proposta di mobilitazione per una carovana per la costituzione che toccherà città grandi e piccole, secondo un calendario di appuntamenti settimanali.
Una carovana dal sud al nord in difesa della Costituzione.
02/11/2004 16:25

Pancho Pardi

 

Una Costituzione incostituzionale....

 

....... che non vogliamo.

 

Un volantino pronto da usare in ogni occasione e realtà territoriale.

 

La maggioranza di centrodestra cerca di imporre all’Italia una costituzione incostituzionale. E i lettori non hanno qui bisogno di una spiegazione sugli effetti prodotti dalla devoluzione, dall’annichilimento imposto al capo dello stato e dal potere illimitato e senza controllo regalato al premierato assoluto. Se procede questo disegno è assai probabile che un potere capace di autoperpetuarsi impedisca proprio quell’alternanza al governo del paese che si dice sia la conseguenza fisiologica dell’assetto bipolare. 

 

E’ ormai urgente che si affronti la necessità di contrastare questa corsa allo scasso della democrazia. Dall’interno dei movimenti che hanno in questi ultimi tre anni lottato contro l’anomalia istituzionale nasce una proposta di mobilitazione per affrontare con ragionevoli speranze di vittoria il referendum confermativo necessario dopo che il Parlamento avrà approvato la legge con una maggioranza inferiore ai due terzi. Una carovana per la costituzione dovrà toccare città grandi e piccole, secondo un calendario di appuntamenti settimanali. Con un stile di intervento capace di toccare tutti i registri, dal dibattito scientifico alla festa popolare, si dovrà illustrare l’impianto fondativo della Carta, le sue intenzioni in parte inattuate, il suo carattere progettuale. Allo stesso tempo si dovrà spiegare i danni che stanno per esserle inferti, le conseguenze micidiali sulla democrazia. L’azione volta a informare e mobilitare i cittadini sarà tanto più efficace quanto più sarà realizzata in modo unitario e corale da parte di movimenti, associazioni, sindacati, partiti.

 

Il dialogo in rete, già intenso su questo progetto appena abbozzato, mostra una certa varietà di punti di vista. Uno in particolare riassume le preoccupazioni principali dei militanti di sinistra. Lo sforzo a difesa della costituzione è considerato necessario ma viene giudicato di natura conservativa, e quindi ben distinto dall’impegno nella definizione di programmi validi e forme organizzative adeguate per la nuova sinistra. Insomma la politica propositiva è qualcosa di più della semplice salvaguardia della costituzione.

 

Sotto il profilo logico è una distinzione perfino ovvia: benché progressiva la costituzione non è di parte e quindi la sua difesa non può essere confusa con un programma di sinistra. Ma c’è modo e modo di distinguere. Se si pensa a quanto –non poco- c’è di inapplicato nella costituzione, vi si troverebbe materia per nutrire, anche se non esaurire, un programma di sinistra: oggi l’uguaglianza, il lavoro, la libertà non sono sperimentati da milioni di persone secondo quella pienezza che la Carta prometteva loro. E al confronto con la reale pratica quotidiana dei diritti immaginati dal costituente, la sola applicazione integrale dei principi costituzionali rappresenterebbe una prospettiva meravigliosa.

 

Ma questa logica ci porta fuori strada perché ci avvia nel mondo dei sogni, mentre ora viviamo in quello degli incubi. Infatti se passa la riforma incostituzionale dovremo lottare non per un programma di sinistra ma per l’elementare salvezza della libertà e della democrazia. Questo è il primo punto. E se l’elettorato di centrodestra avesse un minimo di fantasia dell’imprevisto dovrebbe, in modo speculare al nostro, temere che il potere assoluto disegnato per il dominio del suo capo possa per caso finire nelle mani di una maggioranza avversa, e magari vendicativa quanto l’attuale.

 

Dunque, prima di tutto uscire dall’incubo. Sbarrare la strada alla concessione di un potere senza limiti a un soggetto ineleggibile, campione indiscusso dell’interesse privato. Rimandarlo al sereno godimento dei suoi miliardi. Liberare la repubblica da un’anomalia che ci colloca fuori dal consesso dei paesi civili. Ma, anche qui, c’è modo e modo di farlo. Qui interviene il pensiero di sinistra, e si entra nel contesto toccato dall’articolo di Asor Rosa. Se facciamo sforzi faticosi per liberarci dell’anomalia italiana, a lavoro finito non avrebbe senso accontentarsi di una politica che si adatta a qualche aggiustamento, se non addirittura alla manutenzione più accorta delle pessime leggi volute dalla maggioranza precedente. Se ce la facciamo, vogliamo più uguaglianza, lavoro, libertà, e più varie possibilità nei modi di usufruire di queste conquiste. Vogliamo uscire dalla pace guerreggiata nell’Iraq, vogliamo una politica estera europea indipendente dal potere unipolare e dalla sua dottrina della guerra preventiva, vogliamo una ricostruita potestà dell’Onu su tutte le crisi internazionali, non solo quelle dove la crosta terrestre custodisce il petrolio.

 

Fosse solo per semplice amor di patria, la coalizione di centrosinistra deve assolutamente vincere le prossime elezioni, le regionali e le politiche, come ha vinto le suppletive di ieri. Ma già oggi un coro interessato spiega la vittoria con le virtù del moderatismo, mentre invece è la volontà di voto del nostro elettorato che si è affermata sull’assenteismo altrui. La stessa volontà moltiplicata deve cancellare nel referendum confermativo il tentativo di snaturare la costituzione sofferta e giusta che il paese si è dato quando ha sconfitto la dittatura e scoperto la democrazia. Già ora, mentre sta preparando questo nuovo destino, il protagonismo civile impegnato nella lotta per la costituzione si deve porre il problema di come tradurre la propria energia in più efficace influenza sulla sua rappresentanza politica.

 

Allora, come potrà dare alla Grande Alleanza Democratica una  vera spinta propulsiva?

Dovrà costruire la seconda e minore gamba dell’alleanza  per stringere con la maggiore un patto che rischia di non lasciare spazio ai fermenti nuovi della nostra società?

Dovrà restare appagato dalla registrazione compiaciuta di un equilibrio finalmente raggiunto tra riformisti moderati e radicali?

O non conviene invece che si adoperi per tenere aperta la dialettica, arricchire la discussione, lasciare un varco all’imprevedibile?

I movimenti non debbono rappresentare solo ciò che c’è, ma anche ciò che non c’è ancora e chiede di esser costruito.

 

Pancho Pardi